Bidi Landuzzi, orgoglio Fortitudo

Il capitano della squadra bolognese racconta le forti emozioni provate nell'alzare al cielo la Coppa Italia. Emozioni speciali per un giocatore che da circa trent'anni (fin da bimbetto) indossa la casacca del club biancoblù

Mentre nel tanto incensato gioco dove si danno calci ad un pallone (e negli stinchi degli avversari…) ci sono osannati campioni che cambiano squadra con la stessa frequenza delle vallette che cambiano vestito al festival di Sanremo, e poi seriosi davanti a settemila microfoni annunciano ogni volta "Questa è la maglia che ho sempre sognato", in altri sport più piccoli – che vivono veramente di pura passione – esistono ancora le cosiddette "bandiere". I giocatori-simbolo. Gli ultimi romantici dello sport. In Italia ci sono tanti atleti che il "popolo bue" neppure conosce, atleti poco pubblicizzati, che vanno in campo per due euro ma con un oceano di entusiasmo, gente che lavora otto ore al giorno e poi corre all'allenamento, gente che conosce veramente la parola "sacrificio". Questi sono i personaggi che ammiriamo, i personaggi più autentici. Qui si trovano giocatori che dedicano una vita sportiva al loro Club. E sono talmente affezionati, legati, devoti, fedeli alla squadra della propria città, e al territorio che rappresentano, da non cambiare mai "colori". Neppure per tutto l'oro del mondo. Questi giocatori sono le bandiere, sono i punti di riferimento. Magari non sono i più bravi sul piano dell'espressione tecnica, ma dentro il gruppo hanno una presenza fondamentale. Il loro è un bellissimo esempio di dedizione, di disponibilità, di passione, di amore.
Quando sabato notte della scorsa settimana Stefano Landuzzi, detto Bidi, ha alzato al cielo la Coppa Italia appena conquistata con la sua Fortitudo, sono stati momenti di intensa emozione. Landuzzi rappresenta in maniera perfetta l'immagine del giocatore-bandiera di un club. La Fortitudo Baseball è una parte importante della sua vita. Aveva 8 anni, Bidi, quando cominciò a correre sul "Falchino". Imparando a maneggiare una mazza, il guantone, e la maschera del catcher, il suo ruolo preferito. Era un bimbetto che dalle gradinate del "Falchi" – con occhi pieni di stupore – guardava giocare i "grandi" della serie A. I Campioni ella Fortitudo Beca. Sognando di diventare un giorno bravo come loro.
Adesso Bidi Landuzzi di anni ne ha trentasette, va per i trentotto. Gli hanno dato i gradi di capitano, alla vigilia di questa stagione, dopo il ritiro del suo amicone Lele Frignani (insieme hanno percorso la stessa strada, tutte le giovanili, poi tanta serie A, qualcosa come settecento partite e più, playoff e scudetti). Lele, tormentato dagli infortuni, è stato costretto a dire basta al termine della trionfale stagione 2009. Bidi ne ha raccolto i gradi. E lui, coinvolto totalmente in questo ruolo di capitano, lo ha interpretato con passione, energia, orgoglio e la solita generosità. Ha messo a disposizione della "sua" Fortitudo tutta l'esperienza acquisita in 17 stagioni nella massima serie.
Trent'anni in Fortitudo. Da bimbetto a carismatico uomo-spogliatoio. Trent'anni sui diamanti del baseball. Trent'anni con gli stessi colori. Ha visto lo scudetto scivolargli via dalle mani una decina di giorni fa in una lunga notte parmense senza fortuna per Bologna, ma la Coppa Italia no: quella è stata acciuffata, in rimonta, con ritrovato coraggio, e con essa è stato mantenuto un posto in Europa. E' importante dare continuità alle presenze in Coppa dei Campioni, per far diventare la Fortitudo un Club sempre più europeo.
"Quel che siamo riusciti a fare fino ad ora in questa stagione – commenta il capitano della squadra bolognese – è di notevole spessore. In campionato siamo entrati nei playoff, e non era così automatico…, poi abbiamo confezionato un round robin da protagonisti riuscendo addirittura ad arrivare alla serie finale per lo scudetto. Assieme al Cariparma abbiamo dato vita a sette intensissime ed emozionanti partite. Ci è sfuggito il titolo soltanto nell'ultimissima battaglia, e di un punto. Con la Coppa Italia è arrivato, tuttavia, un Trofeo che conta perché è comunque una conquista importante e inoltre ci permette di essere in Europa anche nella stagione 2011. A proposito di Europa: ora ci aspetta un appuntamento suggestivo e da noi molto sentito. Le finali di European Cup, la Coppacampioni del baseball, in questo week end, a Barcellona. Siamo pronti a farci valere ancora. Sarebbe bello riportare a Bologna un Trofeo europeo che manca da venticinque anni in Fortitudo…".
"Penso che nessuno, alla vigilia della stagione, avrebbe immaginato una Fortitudo così competitiva. La squadra era stata strutturata seguendo il progetto di un sensibile rinnovamento. Con l'inserimento di quattro giovani prospetti come Santaniello, Fornasari, Malengo, Reginato, arrivati ad aggiungersi a Ularetti già a Bologna l'anno scorso, la società ha saggiamente investito sul futuro. Programmando squadra e obiettivi per i prossimi anni. Non nascondo che, all'inizio di questa stagione 2010, le nostre possibilità erano quelle di fare un buon campionato cercando di entrare nel round robin e soprattutto far crescere i giovani. Siamo andati oltre le aspettative, arrivando a fare la finale per la scudetto e mettendo in difficoltà una squadra come il Cariparma che, se andiamo ad analizzarla, è completa in tutti i settori e dotata di un line-up molto consistente. Ebbene, se siamo arrivati fin lì è perché siamo un gruppo. Un gruppo compatto, estremamente unito. Possono cambiare i giocatori, ma "il gruppo" sarà sempre la forza della Fortitudo Baseball. Il nostro marchio di fabbrica".
"Quando sabato notte ho alzato il Trofeo della Coppa Italia, sì, lo confesso è stato un momento speciale per me che da trent'anni indosso la casacca della Fortitudo, e che a questo Club ho dato il cuore. Ho provato una felicità enorme. E per qualche attimo mi sono venuti in mente tutti i sacrifici di tanti anni di baseball: l'alzarsi alle 7 e mezzo del mattino per andare a lavorare, restare al lavoro tutta la giornata, poi verso sera quelle due-tre ore per gli allenamenti, facendo una vita da semiprofessionista: tutto questo richiede un dispendio notevole di energie fisiche e soprattutto mentali. Ma la passione è più forte di tutto. Quando fai parte di un gruppo nel quale ti trovi bene, giochi, ti diverti e, abbastanza spesso, si vince, bè credo che le soddisfazioni facciano passare i sacrifici in secondo piano. La Fortitudo è una squadra, non un singolo giocatore. Ed è la squadra nel suo insieme a fare grossi risultati. La dimostrazione sono le performances dell'anno scorso. Ma ancor di più, i risultati dell'attuale stagione quando nessuno ci dava per favoriti in niente. E invece…".

Informazioni su Maurizio Roveri 192 Articoli
Maurizio Roveri, giornalista professionista, è nato il 26 novembre 1949. Redattore di Stadio dal 1974, e successivamente del Corriere dello Sport-Stadio, fino al gennaio 2004. Iscritto nell'Albo dei giornalisti professionisti dal luglio 1977. Responsabile del basket nella redazione di Bologna, e anche del pugilato. Caporubrica al Corriere dello Sport-Stadio del baseball, sport seguito fin dal 1969 come collaboratore di Stadio. Inviato ai campionati mondiali di baseball del 1972 in Nicaragua, del 1988 in varie città d'Italia, del 1990 a Edmonton in Canada, del 1998 in Italia, nonché alle Universiadi di Torino del 1970 e ai campionati Europei del 1971, del 1987, del 1989, del 1991, del 1999. Dal 2004 al 2007 collaboratore del quotidiano "Il Domani di Bologna" per baseball, pugilato, pallavolo.  

Commenta per primo

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.