C'è un brano spesso citato dello scrittore e giornalista sportivo Thomas Boswell, contenuto nella sua raccolta di saggi Why Time Begins On Opening Day (Sportspages Books, 1984), che dice: "Il baseball esiste in quattro dimensioni: altezza, larghezza, profondità e memoria. I diamanti della nostra mente, i campi delle nostre fantasticherie, rivaleggiano spesso con la realtà. Di tutti gli sport americani, nessuno eguaglia la passione del baseball per il passato".
Il culto del passato e della tradizione è senza dubbio presente nell'essenza stessa del nostro gioco. Non dimentichiamo che il baseball si vanta di esser stato il primo sport di squadra a fissare un regolamento (le Cartwright Rules del 1845), il primo a registrare una partita "ufficiale" (fra i Knickerbockers e i New York Nine nel 1846), il primo ad avere una squadra di soli professionisti (i Cincinnati Reds nel 1869). È uno sport atipico, splendidamente "datato": anche la foggia delle divise ne tradisce l'origine ottocentesca. C'è poi un altro fattore che colloca il battiecorri nel campo della memoria: una partita di baseball può essere trascritta lancio dopo lancio nello score, "conservata" su carta e quindi "rivissuta" con precisione nel racconto innumerevoli volte. A sua volta la trascrizione dà luogo a un'infinità di statistiche che, registrate nei resoconti ufficiali e memorizzate dagli appassionati, contribuiscono a mantenere vivo e presente il ricordo del passato.
Il tema della memoria è anche centrale nella trama di Shoeless Joe. Nel romanzo di Kinsella i ricordi sono il motore dell'azione: il ricordo di Ray di un'intervista di Salinger in cui questi menzionava la demolizione dello stadio del Polo Grounds nel 1964; il ricordo "grafico" della statistica dell'unica partita giocata da Moonlight Graham apparso sul cartellone del Fenway Park; o anche i ricordi degli abitanti di Chisholm che preludono all'entrata in scena di Doc Graham. Ma se, come abbiamo visto, il ritorno in vita dei giocatori dello scandalo dei Black Sox del 1919 è reso possibile soprattutto dalla compressione del tempo e dello spazio in un unico luogo, ciò è anche dovuto al fatto che il protagonista Ray possiede il ricordo, tramandatogli dal padre, di quei giocatori che lui, per ovvie ragioni temporali, non aveva mai conosciuto. E di tutte le "apparizioni" del romanzo, la più emozionante – e anche la più importante – è per l'appunto quella di John Kinsella, il padre di Ray.
La due parole con cui si apre il romanzo sono: "My father". "Mio padre raccontava di averlo visto giocare anni dopo in una lega di quart'ordine per una cittadina tessile della Carolina, con le scarpe ai piedi e sotto falso nome". E alla fine del libro Ray e suo fratello Richard si rincontrano con John, il padre tornato ragazzo che è riapparso dal passato per giocare sul diamante magico. Così Kinsella rappresenta plasticamente un altro dei motivi che percorrono il discorso popolare (il folklore) del baseball: l'incontro fra le generazioni. Il baseball è ciò che unisce i padri ai figli, l'eredità che viene trasmessa intatta nel tempo, sempre uguale a se stessa, una pratica ludica e leggera che viene reincarnata e rivissuta di generazione in generazione: gesti e discorsi ricevuti dal passato e ripetuti potenzialmente fino alla fine dei tempi, a riecheggiare il libro biblico dell'Ecclesiaste (1, 4): " Una generazione va e una viene, ma la terra rimane sempre ferma".
Anche in questo il baseball rivela aspetti della religiosità di fondo della cultura americana. In effetti la visione della storia come una successione di padri e figli è intimamente giudaico-cristiana. Dio è Padre, e Adamo inizia la catena della vita che si snoda attraverso una successione lineare. La stessa struttura narrativa della Genesi è costituita dalle toledot (le generazioni, in ebraico), e il credente legge nella Bibbia -attraverso la serie dei patriarchi (la linea Abramo-Isacco-Giacobbe e i suoi dodici figli) che giunge fino a Gesù- la propria storia, il racconto dei propri antenati e la prefigurazione dei propri discendenti.
Su un altro piano, la dimensione famigliare del gioco può essere letta da un punto di vista psicoanalitico. In Shoeless Joe il rincontro con il padre può essere interpretato come il superamento del complesso di Edipo: con la costruzione del campo Ray ha resuscitato John e ha sanato così il trauma dell'uccisione simbolica del padre avvenuta – come insegna Freud – durante l'adolescenza. Il baseball, con la sua atemporalità, è qui il catalizzatore che provoca il recupero del rapporto col padre e quindi la riconciliazione con se stessi, il passaggio definitivo all'età adulta.
Tuo padre. Ti regala il tuo primo guanto, ti insegna a prendere e lanciare, ti porta a vedere le partite e poi tifa per te quando lui è ormai anziano e tocca a te scendere in campo, ti parla della sua passione, della sua squadra, ti consegna i suoi ricordi che poi dovrai passare ai tuoi figli. Ecco: per molti il baseball consiste in Fathers Playing Catch With Sons: "Padri che fanno a passaggi con i figli", che poi è anche il titolo di una famosa raccolta di saggi sullo sport del poeta Donald Hall (Laurel Books 1985). Un'immagine che viene ripresa nella scena finale di Field of Dreams ("L'uomo dei sogni"), il film tratto dal romanzo: soli in mezzo al campo magico il figlio Ray (Kevin Costner) e suo padre John (Dwier Brown), indossano i guantoni e cominciano a passarsi la palla. E mentre giocano alla luce dei riflettori, la pallina corre lungo la traiettoria che unisce i loro sguardi che si incontrano a mezz'aria.
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