Jeter, la notte del record ed il fascino dello Yankee Stadium

1.270 battute valide per l'interbase newyorchese, una in più di Lou Gehrig – L'ultimo, straordinario primato per salutare il leggendario stadio che in 85 anni è stato teatro di indimenticabili sfide ed eventi

La sera che Derek Jeter ha battuto il record di Lou Gehrig io c'ero. Voglio dire: ero allo "Yankee Stadium". E ho deciso di scriverci un articolo. La partita era alle 19, quindi a fine giornata, nessun problema, ma reperire un biglietto ed evitare un salasso quello sì che era un problema.
Partiamo proprio dal ticket. Introvabile. Con un pizzico di fortuna e 100 dollari estratti dal mio portafoglio riesco a trovarlo proprio alla cassa dello stadio. Mi era venuta una tale ansia di non riuscire ad entrare, durante il tragitto sulla linea 4 della metropolitana da Grand Central Station, che quando l'omino mi ha consegnato il biglietto e la ricevuta, volevo tenere una conferenza stampa.
Ma passata un'ansia, ne è arrivata un'altra: le nuvole. E se piove? Come sapete, non è piovuto. Derek Jeter ha battuto valido al primo turno e portato il totale delle sue personali battute valide allo Yankee Stadium a 1.270. Una in più di Lou Gehrig. Sul "battuto" siamo tutti d'accordo, sul "valido" un po' meno. L'intervento in controguanto del terza base dei White Sox di Chicago, Uribe, non è che sia stato tanto un prodigio. Ma per il record non conta, anche perchè Jeter ha battuto valido anche al turno successivo. Conta poco anche per il risultato, perchè gli Yankees hanno comunque perso 6-1 (e, a questo punto, tutti lo sapevate già…), e per la "lotta ai play off", perchè alla post season vanno i Tampa Rays (così gli Yankees imparano a vendergli Navarro e tenersi Posada con la spalla cotta), i Boston Red Sox e probabilmente anche i White Sox.
Battuto il record, Jeter ha fatto tutto: si è fatto dare la pallina, si è preso la sua cosiddetta "curtain call" con applausi scroscianti. Il suo sorriso da bambolotto, era perfetto. Come sorriso, anche Gehrig non scherzava. Al punto che, quando gli hanno dedicato un film, lo hanno fatto interpretare da Gary Cooper: L'idolo delle Folle, in inglese 'The pride of the Yankees', del 1942. Non so se è una notizia più importante il fatto che il film ricevette dieci nomination agli Oscar, vincendone alla fine solo uno (per il montaggio), o che il doppiatore di Cooper era un certo Emilio Cigoli, voce anche di John Wayne, Gregory Peck e Humphrey Bogart. E nativo di Livorno…
Forse Jeter è bello come Gary Cooper. E avrà pure cancellato il record di Gehrig delle battute valide ottenute dentro lo "Yankee Stadium". Che è un gran bel record, anche perchè è imbattibile. Però Jeter a dire: "Sono l'uomo più fortunato sulla faccia della terra" (io quando lo sento, e mi immagino Gehrig con il numero '4' e che fatica a stare in piedi, mi commuovo ancora) non ce lo vedo.
Ha detto Derek alla stampa: "Quando penso agli uomini che hanno fatto grande questa organizzazione, Gehrig è là in cima alla lista". Banale. E anche vero fino lì. Perchè quando nomini gli Yankees pensi a Babe Ruth (che, a proposito, nel film su Gehrig appare personalmente). Quando pensi allo "Yankee Stadium" soprattutto, al punto che è stato ribattezzato The house that Ruth built. Quando nomini gli Yankees pensi forse soprattutto a Joe Di Maggio (mica a caso, "The Yankee Clipper"). Glielo avrei voluto gridare a Jeter dalle tribune, che comunque Gehrig resta l'originale e lui al massimo è una copia fatta abbastanza bene. Naturalmente non l'ho fatto, ma ho scattato qualche decina di foto. Ho messo in tasca la maglietta omaggio della "final season" e mangiato i nachos "special". Altro segno dei tempi che cambiano, perchè una volta a New York i nachos mica c'erano. Allo "Yankee Stadium" si trovavano solo hot dog, noccioline, crackerjack e pretzel.
Era il 1989, la prima volta che sono entrato allo "Yankee Stadium". Giocava Don Mattingly in prima base e i tifosi gridavano a Streinbrenner "George must go". Ero all'ultimo piano e lo stadio mi era sembrato enorme. Cioè: lo stadio E' enorme. Ma quasi 20 anni dopo mi ha fatto meno impressione. Anzi, ammetterò che ho notato che i seggiolini sono scomodi, i posti stretti, i corridoi interni un po' tristi. Insomma, mi sono detto, non fanno mica poi tanto male a costruire il suo nipotino.
Il nuovo "Yankee Stadium" è già quasi pronto. Maligna come è tradizione, la stampa di New York lo ha già ribattezzato The house that the Boss built. Qualcuno dice che Streinbrenner ha voluto costruire il "suo" stadio, perchè quello di prima era lo stadio di "The Babe". Sarà, ma resta il fatto che, visto martedì 16 settembre, il vecchio "Yankee Stadium" non ce la può più fare.
Il nuovo stadio non sarà esattamente un monumento al concetto di "sport popolare". Anzi, ci saranno suite riservate ai super VIP (costo: dai 400.000 dollari al milione a stagione) perchè chi non è super VIP non se le può permettere. Ma, dicono, garantirà una visione della partita senza precedenti e conserverà intatto il ricordo dello "Yankee Stadium" originale. Anche se (mi sono detto anche questo) resterà pur sempre una bella copia. Un po' come Derek nei confronti di Henry Louis.
Mi rendo conto che sono contradditorio. Ma essere allo stadio la sera in cui Jeter ha battuto il record di Gehrig (senza capire perchè applaudissero tanto Jeter per una valida che era un mezzo errore, mi scordavo di dirvelo) rimescola emozioni. Vedere il baseball di Grande Lega dal vivo, poi, fa persino passare il "jet lag". Ci è riuscito Giasone Giambi (che, prima che lo chiediate, non giocherà in nazionale al Classic) con una di quelle battute che a Nettuno chiamano Tortorate, termine di etimologia forse incerta ma che rende perfettamente l'idea. L'ha mandata al terzo piano, Giasone. Impressionante. Come è impressionante il livello di gioco che le squadre esprimono mediamente. Soprattutto, l'intensità e le qualità atletiche (tiro, corsa, balzi, riflessi) mi fanno dire che il baseball di Grande Lega è il più grande spettacolo sportivo che si possa ammirare sulla terra. Anche se non ha pietà dei ricordi.
Quella di sopra è la mia conclusione. Ma voglio lasciarvi col parere di chi la pensa diversamente. Il Premio Pulitzer, John Updike, scrive in "Terrorista": "(…) I coglioni che vanno allo stadio adesso credono che sia sempre stato così: giocatori avidi ma capaci di far cadere un record all'anno (…) I tifosi di oggi non sanno niente dell'amore. E non gliene frega niente. Per loro lo sport è come un video gioco e i suoi protagonisti sono solo degli ologrammi".

Informazioni su Riccardo Schiroli 1199 Articoli
Nato nel 1963, Riccardo Schiroli è giornalista professionista dal 2000. E' nato a Parma, dove tutt'ora vive, da un padre originario di Nettuno. Con questa premessa, non poteva che avvicinarsi alla professione che attraverso il baseball. Dal 1984 inizia a collaborare a Radio Emilia di Parma, poi passa alla neonata Onda Emilia. Cresce assieme alla radio, della quale diventa responsabile dei servizi sportivi 5 anni dopo e dei servizi giornalistici nel 1994. Collabora a Tuttobaseball, alla Gazzetta di Parma e a La Tribuna di Parma. Nel 1996 diventa redattore capo del TG di Teleducato e nel 2000 viene incaricato di fondare la televisione gemella a Piacenza. Durante la presentazione del campionato di baseball 2000 a Milano, incontra Alessandro Labanti e scopre le potenzialità del web. Inizia di lì a poco la travolgente avventura di Baseball.it. Inizia anche una collaborazione con la rivista Baseball America. Nell'autunno del 2001 conosce Riccardo Fraccari, futuro presidente della FIBS. Nel gennaio del 2002 è chiamato a far parte, assieme a Maurizio Caldarelli, dell'Ufficio Stampa FIBS. Inizia un'avventura che si concluderà nel 2016 e che lo porterà a ricoprire il ruolo di responsabile comunicazione FIBS e di presidente della Commissione Media della Confederazione Europea (CEB). Ha collaborato alle telecronache di baseball e softball di Rai Sport dal 2010 al 2016. Per la FIBS ha coordinato la pubblicazione di ‘Un Diamante Azzurro’, libro sulla storia del baseball e del softball in Italia, l’instant book sul Mondiale 2009, la pubblicazione sui 10 anni dell’Accademia di Tirrenia e la biografia di Bruno Beneck a 100 anni dalla nascita. Dopo essere stato consulente dal 2009 al 2013 della Federazione Internazionale Baseball (IBAF), dal giugno 2017 è parte del Dipartimento Media della Confederazione Mondiale Baseball Softball (WBSC). Per IBAF e WBSC ha curato le due edizioni (2011, 2018) di "The Game We Love", la storia del baseball e del softball internazionali.

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