Il baseball nettunese piange Franco Della Portella, maestro e “uomo delle luci”

Giornata triste oggi a Nettuno. E’ scomparso dopo una lunga malattia Franco Della Portella, storico personaggio del baseball nettunese. Era immancabile sino a qualche anno fa la sua presenza nella sala stampa, a comandare il tabellone luminoso

Fam. Della Portella
Franco Della Portella
© Fam. Della Portella

Giornata triste oggi a Nettuno. E’ scomparso dopo una lunga malattia Franco Della Portella, storico personaggio del baseball nettunese. Era immancabile sino a qualche anno fa la sua presenza nella sala stampa, a comandare il tabellone luminoso.
Per ricordarlo abbiamo chiesto al nostro amico e collega Mauro Cugola di adattare e condividere il ricordo personale che ha scritto anche su Facebook, che descrive in pieno la grandezza della persona.
Alla famiglia di Franco vanno le più sentite condoglianze da parte di tutta la redazione di Baseball.it.

MAURETTO, PAOLO E IL MAESTRO

«L’appuntamento rigoroso era 30 minuti prima della partita, anche qualcosa meno, al bar sotto le gradinate. Che fosse regular season, play off, finali, semifinali, Coppa Italia, coppe europee…

Delatina rinale!“, saluto d’ordinanza per un soprannome la cui storia è veramente troppo lunga per essere raccontata qui. Lui era arrivato già da almeno mezz’ora, con la sua amata vespa. Due battute e poi le faticose scale verso la nostra postazione al prima Stadio Comunale, quindi Steno Borghese.

La formazione tipo della sala stampa più bella di tutto il baseball italiano era fissa e immutabile: Paolo Noro speaker, il maestro Franco Della Portella al tabellone, io accanto a loro a lavorare. Poi gli altri a rotazione. Fianco a fianco, è proprio il caso di dirlo, abbiamo vissuto tutta l’epopea recente del grande Nettuno Baseball Club, quello che ci ha infiammato e resi orgogliosi di esserne in qualche modo parte.
Una squadra di uomini, prima ancora che di giocatori di baseball, una grande famiglia che personalmente mi ha visto letteralmente crescere e che a sua volta mi ha cresciuto, da quando ero ancora praticamente in fasce.

Perché “maestro“? Innanzitutto perché era un maestro orafo, insegnante al Liceo Artistico di Anzio, di quelli che dal grezzo tirava fuori i gioielli. Persona di immensa cultura. E poi… E poi perché, da uomo di grandissima umanità e soprattutto di spirito, da ogni frase arrivava una sentenza di quelle inappellabili. Rimarrà per sempre tra me, Paolo e Franco il significato di molte cose. A partire da quel mio soprannome, e per tante altre ancora.

C’era quel cane che era “n’incrocio tra na zoccola e n’asciugamano” che scorrazzava in tribuna, c’erano “le due mosche dentro la capoccia che finché non si intruppano va tutto bene“, c’era la palla che “pijava la canala“, o “er poro Bobbe” che tirava le “sciacquadenti“, per dire di un lancio particolarmente forte, alto e interno da parte di Bob Galasso. Questo per anni, tanti anni, forse anche troppi anni. Vedere il Nettuno Baseball per me era anche questo, tre ore di serenità e risate oltre che di lavoro e di passione. Stagione dopo stagione, un lavoro andato avanti per un buon quarto di secolo.

E poi c’erano le storie della Nettuno passata di cui era stato testimone, dei personaggi incredibili, i suoi straordinari racconti che riempivano i pomeriggi pigri d’estate trascorsi a vedere il baseball. Io e Paolo a stento trattenevamo le risate, più che mai quando lui doveva annunciare il battitore nel box.

Dissoltasi la famiglia dello storico Nettuno BC di cui sopra, non è più venuto allo stadio. Non ha mai sopportato l’idea di quello che successe qualche anno fa, che ci fossero due Nettuno. Per me entrare allo stadio di baseball e sapere di non trovarlo rappresentò la reale anticamera del mollare definitivamente lo scrivere di baseball, arrivata poi per un concorso di tante altre ragioni. Perché il Nettuno, quello grande e vero degli “uomini potenti”, in fondo ce lo siamo goduto tutto.

Un giorno udimmo una frase mitologica: «D’altro canto il baseball è uno sport di valide…». Vi assicuro che da quel momento, da quella cavolata, niente fu più lo stesso e quella infelice frase la citammo per anni e anni. Va detto però che Paolo Noro, da serio speaker quale è, non ha mai ceduto alle nostre (mie e di Franco) incessanti richieste di dire almeno una volta “nel box di battitura“.
Né mai andò in porto l’idea di uno speakeraggio tutto in nettunese. Del tipo “interbase: ‘o fijo d’Arvaro e de Olinda” (sarebbe il “Pantera” Bagialemani), e “palla presa al volo da chiollà, chistantro è il secondo eliminato“.

Franco ha lottato come un leone per 40 cicli di chemio, poi alla fine si è arreso. A Valerio, Daniele e Andrea va il mio abbraccio più caldo e vigoroso. E oggi mi sento un po’ più solo. Anche se sono e rimarrò sempre un “delatina rinale“, ora più che mai.
Mauretto Ramone»