Addio a Carlo Fraschetti

Scomparso a 86 anni, era l’ultimo testimone della prima partita del baseball italiano nell’estate del 1948. Cresciuto come catcher nel Pirelli, alla scuola di Lou Campo e di Jimmy Strong, debuttò in serie A nel 1957. Una brillante carriera anche da allenatore

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Carlo Fraschetti
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L’addio a Carlo Fraschetti è un po’ la chiusura di un’epoca. Quella che ci legava ancora al battesimo del baseball italiano, all’inizio dell’avventura del nostro sport, partito tra grandi entusiasmi che stridono tanto con i malcontenti attuali. Carlo, scomparso nella notte a 86 anni, era l’ultimo testimone della prima partita del baseball italiano, quando lui, bambino di 9 anni, venne portato dallo zio, reduce da un lungo periodo passato da emigrante in America, a quell’evento che a Milano portava una ventata di novità. E in un momento storico in cui tutto quello che arrivava da oltre oceano aveva un sapore particolare, anche il baseball poteva affascinare più di quanto lo faccia adesso.

Carlo era l’ultimo sopravvissuto di quella folla che invase il Giuriati nell’estate del ‘48, almeno tra gli uomini di baseball, e aveva raccontato che quella partita per lui fu come “un’iniezione di droga di baseball”, una dipendenza da cui non riuscì più a staccarsi fino ai nostri giorni e che lo portò a contagiare tutta la sua famiglia. Perché quella dei Fraschetti è una bellissima storia, di quelle che tante volte solo il baseball sa scrivere. Se il nostro sport è fatto di tante dinastie, di tante famiglie che hanno fatto la storia di tante piazze, quella dei Fraschetti mette insieme tre generazioni di giocatori arrivati ad alto livello: da Carlo al figlio Marco, sicuramente il più talentuoso, arrivato a vestire la maglia della Nazionale, per arrivare al nipote Luca che continua la tradizione di casa oggi nel Milano. Ma se non è inconsueto incontrare tre generazioni di sportivi nella stessa famiglia, è più raro incrociarne tre che hanno giocato in serie A. Nel baseball, ad esempio, adesso ci sono anche i Luciani: dal grande Vic a Lino, al giovanissimo Diego. Ma i Fraschetti hanno qualcosa in più, il fatto di aver giocato tutti nello stesso ruolo, dietro casa base.

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Carlo Fraschetti, ricevitore all’Inter targata Noalex nel 1969

Carlo è cresciuto come catcher nel Pirelli, alla scuola di Lou Campo e poi di Jimmy Strong. Un ottimo ricevitore anche se chiuso in Nazionale prima da Cameroni, Cerea e Luzi e poi inevitabilmente dai più giovani Cavazzano, Castelli e Laurenzi. Il debutto in A arriva nel ‘57 nella squadra dei Cardea e dei Cerea, dei Grancini e dei Rimini, l’inizio di una bella avventura che porta la formazione milanese nata nel dopolavoro aziendale al fantastico secondo posto del 1961, alle spalle dell’imbattibile Europhon di Cameroni, Gandini e Glorioso. E’ il Pirelli dei fratelli Consonni, di Bianconi e Bendini, di Carmignani e Cassini, in cui Fraschetti gioca fino al ’64, poi dal ’65 passa all’Inter con cui vive il momento migliore nel 1969 quando, targata Noalex, la squadra guidata da Giancarlo Mangini contenderà lo scudetto al Bologna, piazzandosi alle sue spalle.

Dopo un finale di carriera tra i cadetti nell’Ospiate, la seconda squadra di Bollate, Carlo Fraschetti inizia una brillante carriera da allenatore che lo porta inizialmente a Codogno dove centra il successo più prestigioso, vincendo il campionato di A2 con la squadra trascinata dal giovane Beppe Carelli e costruita attorno a Braghieri e Comolla, Acquafresca e Hrast, Livraghi, Ceccolini e Tansini. Poi passa a guidare il Bollate a più riprese e c’è proprio lui sulla panchina bollatese quando il derby col Milano finisce in rissa, con un seguito di polemiche sui giornali e nella pionieristica TVCI di Willy Bargauan, in cui Fraschetti e Cameroni, i due manager, rivivono i duelli sul campo degli anni Sessanta.

Eterno rivale del Milano in tante stracittadine, prima da giocatore poi da allenatore, Carlo si è ritrovato, per quelle nemesi che solo lo sport riesce a realizzare, a regalare ai suoi storici nemici prima un figlio, Marco appunto, diventato ben presto una bandiera rossoblù, e poi addirittura due nipoti, Luca, figlio di Marco, e Lorenzo, nato da sua figlia Claudia e da Alessandro Ambrosioni, ex giocatore e coach del Milano nonché nipote del grande Silvano, ct più vincente della Nazionale. Un altro incredibile intreccio famigliare attorno al diamante, un’altra di quelle storie che il nostro baseball sa costruire. Così, da grande rivale del Milano, Carlo si è ritrovato a vivere gli ultimi trent’anni da tifoso, quanto meno dei suoi eredi. Ma anche ad aiutare Marco negli anni in cui si è dedicato al faticoso rilancio del vivaio milanese.

Grazie Carlo per aver scritto questa bella pagina di baseball, una di quelle storie di entusiasmo e passione di cui avremmo tanto bisogno di questi tempi.

 

Informazioni su Elia Pagnoni 51 Articoli
Nato a Milano nel 1959, Elia Pagnoni ricopre attualmente il ruolo di vice capo redattore dello sport al quotidiano "Il Giornale", dove lavora sin dal 1986. E' stato autore di due libri sulla storia del baseball milanese.