Classic 2023: oriundi, bilancio ed effetti sul nostro baseball

Un’analisi dopo l’ottimo percorso dell’Italia fermata ai quarti dal Giappone. L’orgoglio di tanti azzurri, da Lopez a Pasquantino. Ma cosa lascerà al baseball italiano? L’attuale struttura dei campionati lo sta portando verso l’estinzione

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Nicky Lopez esulta in terza base nella sfida contro l'Olanda al Classic 2023
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Questa mattina guardavo il tabellino di Messico-Porto Rico e sorridevo. Julio Urias, che nel 2023 guadagnerà 14.25 milioni di dollari dai Dodgers di Los Angeles, ha beccato 2 fuoricampo da Porto Rico al primo inning. Alexis Diaz, che lo scorso anno in 59 apparizioni per i Cincinnati Reds ha concesso una media punti guadagnati di 1.84 (7 vittorie, 3 sconfitte e 10 salvezze) è salito al settimo ed è sceso senza ottenere out e lasciando le basi piene. Jorge Lopez, 23 salvezze in 67 partite per i Minnesota Twins lo scorso anno, ha concesso le valide che sarebbero costate la partita a Porto Rico.

Sorridevo non perché ce l’abbia con i lanciatori di Porto Rico. Sorridevo pensando a cosa avrebbero potuto dire gli strateghi nostrani da social media. Sorridevo perché Yadier Molina, apparso teso in sala stampa a fine partita (Edwin Rodriguez, di cui ha preso il posto, aveva portato Porto Rico in finale sia nel 2013 che nel 2017), ha mandato i 2 migliori rilievi che aveva a disposizione (il migliore in assoluto, Edwin Diaz, lo ha perso per infortunio, ma lo avrebbe comunque usato al nono) e ha perso. Cosa vogliamo dirgli, a Yadi?

Benji Gil invece era tronfio. Anche lui aveva preso il posto di un collega, Juan Castro, e al primo approccio aveva fatto peggio di lui, trovando poca gloria alle Olimpiadi di Tokyo. Ma questa volta, lo aveva detto subito, la rosa era di un livello diverso. Specie quell’Arozarena all’esterno sinistro. Che oltre a battere come un fabbro ferraio, prende anche delle palle al volo che non si sa come fa. Come quella che è valsa l’eliminazione di Emmanuel Rivera all’ottavo. Arozarena che è cubano. Ma gioca per il Messico perché il Messico gli ha offerto asilo politico e la cittadinanza, quando se m’è andato da Cuba a bordo di una barchetta a 21 anni. Eppure Gil ha detto “abbiamo dimostrato cosa valgono i giocatori messicani”. Non “i giocatori messicani e il cubano naturalizzato”.

Ho letto su Facebook un sacco di commenti indignati sulla scarsa copertura mediatica ricevuta dalla Nazionale italiana al World Baseball Classic. E volevo stimolare un po’ di questi indignati speciali. Volevo stimolarli su questa loro curiosa pretesa: volete che i media dedichino più spazio alla Nazionale di baseball. Intendete proprio quella che voi sputtanate da quando il World Baseball Classic esiste? Quella che va a pescare giocatori che di Italiano hanno “poco più che il cognome” (alcuni, vedi gli Harvey, Fletcher e Lopez, per la verità nemmeno quello)? Quella che non vedete l’ora che perda per formulare il classico “ma per questi risultati, non era meglio andare con i nostri ragazzi” (la formula che gli indignati speciali hanno in canna fin dal 1971, quando Peppino Campisi divenne il primo oriundo del baseball italiano)?

Vediamo allora come la pensano, questi che di italiano non hanno nemmeno il cognome. Nicky Lopez, gran bel giocatore, se mi è concesso, lo scorso anno ha giocato 141 partite nei Kansas City Royals. Guadagnerà 3.7 milioni nel 2023. Non aveva certo bisogno di mettersi in mostra. Scrive però su Twitter: “Che bello rappresentare le nostre famiglie, le nostre origini. Italia, spero che tu sia orgogliosa di noi”.

Vinnie Pasquantino, qui il cognome c’è, lo chiamano “the italian nightmare” (l’incubo italiano, presumo per i lanciatori). In Grande Lega è appena arrivato e al Classic non ha giocato granché bene. (“se deve finire al piatto con il corridore in seconda” eccetera eccetera). Ringrazia, sempre su Twitter, tutti quelli che hanno guardato le partite: “Volevamo rappresentare l’Italia e le nostre origini nel modo giusto e spero di esserci riuscito. Sono molto orgoglioso del risultato”.

Lopez e Pasquantino, che hanno una foto in maglia azzurra nel profilo, dicono entrambi “ci vediamo nel 2026”. Perché l’Italia è arrivata tra le prime 8 del Classic ed è già sicura di partecipare alla prossima edizione. Cosa che, ad esempio, non possono dire Chinese Taipei (che giocava anche in casa), Nicaragua e Colombia.

Riavvolgo il nastro. Questa Nazionale mi lasciava perplesso. Non capivo le rinunce a Liddi e Da Silva. Dubitavo dell’utilità del tour enogastronomico dell’autunno 2022 denominato Mission Classic. Dubitavo di Mike Piazza come manager (e mi costa dirlo, perché Mike è un amico che mi ha accolto a casa sua). Dubitavo di tante cose e sbagliavo a dubitare.

Gli azzurri mi hanno convinto, partita dopo partita. Contro l’Olanda hanno ottenuto una vittoria che, a questi livelli, mancava dal 2012. E l’hanno ottenuta dominando come poche altre volte è successo. E come certamente non succedeva da un decennio.

Contro il Giappone, sarebbe servita un’Italia perfetta. Sarebbe servito forse un partente come Harvey (4 riprese, 60 lanci, 38 strike e solo 2 valide concesse).

O forse, sarebbe servito non giocare contro il Giappone.

Contro l’Olanda i lanciatori azzurri hanno concesso 3 basi ball. Le 2 concesse da Andre Pallante al quinto potevano cambiare la partita. Ma a basi piene è salito sul monte Joe LaSorsa, sono arrivati 7 strike su 9 lanci e i 3 out che servivano (2 al piatto). LaSorsa ha poi fatto il giro dei telegiornali con la sua esultanza incontrollata (quanto strepitosa). La terza base ball l’ha concessa Mitchell Stumpo al nono.

Contro il Giappone l’Italia di basi ball ne ha concesse 8. LaSorsa ha avuto bisogno di 26 lanci per chiudere il terzo inning e di questi solo 14 sono diventati strike. Contro il Giappone, insomma, la palla scottava tanto.

L’Italia però contro il Giappone si è fatta onore. Lo testimoniano le parole di Shohei Ohtani e del manager Hideki Kuriyama. Entrambi hanno riconosciuto che i battitori italiani erano molto preparati e hanno fatto ottimi turni, non regalando niente.

“Giravano così raramente a vuoto” ha spiegato Kuriyama “che ho pensato di mandare sul monte Darvish nonostante il vantaggio di 5 punti. Non era il caso di rischiare”.

La mia conclusione è che il World Baseball Classic dell’Italia si chiude con un bilancio largamente positivo. Se questo risultato lascerà qualcosa al baseball italiano, a parte il premio per la qualificazione, è invece tutto da verificare.

Quasi nessuno di questi giocatori sarà disponibile per l’Europeo 2023. Al quale arriviamo da terzi classificati (dietro a Olanda e Israele) del torneo precedente. La Cechia, che a quell’Europeo arrivò dietro di noi, si è a sua volta conquistata il diritto a disputare il prossimo Classic. E buona parte della squadra vista in campo a Tokyo sarà la stessa che giocherà a settembre un torneo che i boemi ospitano.

Il baseball italiano deve rendersi conto che l’attuale struttura dei campionati lo sta portando verso l’estinzione. So di non essere diplomatico, ma la diplomazia non serve. Servono idee.

La mia, ad esempio, è che i migliori giocatori devono misurarsi tra di loro il più possibile. Da parte mia, non propongo formule, anche se resto convinto della necessità di un campionato di vertice, con un sistema che incoraggi la collaborazione tra il vertice e la base. Ma questo sarà semmai materiale per future riflessioni. Per ora mi limito a dire: fate quel che volete, ma dateci un’estate di tante partite tra le squadre più forti.

Il vero cambiamento però va fatto a livello giovanile. Non so se ce ne siamo resi conto, ma a livello giovanile il concetto di club è stato superato in tutto il mondo. Almeno, in tutto il mondo che gioca un baseball evoluto. Dobbiamo farlo anche noi. Variamo attività di club provinciali, con tante partite, anche informali. Poi facciamo selezioni delle province e facciamole competere a livello regionale. Quindi, mettiamo di fronte le selezioni regionali migliori in un campionato Nazionale giocato sulla falsariga delle College World Series. Facciamolo per U-12, U-15 e U-18. Facciamoli competere tra di loro, i più bravi.

Sono perfettamente consapevole del fatto che l’attività di alcune Province (vedi Parma o Bologna o Rimini o Grosseto) o di alcune Regioni (Emilia Romagna, ma anche Lazio o Lombardia o Toscana) è difficilmente rapportabile con quella delle zone che fanno più fatica. So perfettamente che Nettuno vale da solo tutta la provincia di Roma. Ma sono anche convinto che una soluzione non sia così difficile da trovare.

Comunque, se quello che dico io non piace, proponete altre idee. Il baseball italiano deve smettere di lamentarsi e iniziare a cambiare.

 

Informazioni su Riccardo Schiroli 1199 Articoli
Nato nel 1963, Riccardo Schiroli è giornalista professionista dal 2000. E' nato a Parma, dove tutt'ora vive, da un padre originario di Nettuno. Con questa premessa, non poteva che avvicinarsi alla professione che attraverso il baseball. Dal 1984 inizia a collaborare a Radio Emilia di Parma, poi passa alla neonata Onda Emilia. Cresce assieme alla radio, della quale diventa responsabile dei servizi sportivi 5 anni dopo e dei servizi giornalistici nel 1994. Collabora a Tuttobaseball, alla Gazzetta di Parma e a La Tribuna di Parma. Nel 1996 diventa redattore capo del TG di Teleducato e nel 2000 viene incaricato di fondare la televisione gemella a Piacenza. Durante la presentazione del campionato di baseball 2000 a Milano, incontra Alessandro Labanti e scopre le potenzialità del web. Inizia di lì a poco la travolgente avventura di Baseball.it. Inizia anche una collaborazione con la rivista Baseball America. Nell'autunno del 2001 conosce Riccardo Fraccari, futuro presidente della FIBS. Nel gennaio del 2002 è chiamato a far parte, assieme a Maurizio Caldarelli, dell'Ufficio Stampa FIBS. Inizia un'avventura che si concluderà nel 2016 e che lo porterà a ricoprire il ruolo di responsabile comunicazione FIBS e di presidente della Commissione Media della Confederazione Europea (CEB). Ha collaborato alle telecronache di baseball e softball di Rai Sport dal 2010 al 2016. Per la FIBS ha coordinato la pubblicazione di ‘Un Diamante Azzurro’, libro sulla storia del baseball e del softball in Italia, l’instant book sul Mondiale 2009, la pubblicazione sui 10 anni dell’Accademia di Tirrenia e la biografia di Bruno Beneck a 100 anni dalla nascita. Dopo essere stato consulente dal 2009 al 2013 della Federazione Internazionale Baseball (IBAF), dal giugno 2017 è parte del Dipartimento Media della Confederazione Mondiale Baseball Softball (WBSC). Per IBAF e WBSC ha curato le due edizioni (2011, 2018) di "The Game We Love", la storia del baseball e del softball internazionali.