E lo vogliamo chiamare “movimento”?

Inizia domani un campionato di quelli in cui si gioca meno in assoluto. Serve una sola serie A e cercare il modo per riportare gente sulle tribune

Comincia il campionato e regolarmente ci si chiede se siamo arrivati al punto più basso della parabola discendente. Effettivamente è difficile immaginare qualcosa di più invisibile di quello che sta per andare in onda, ma l’esperienza consiglia di non essere ottimisti. Ho letto con interesse nelle ultime ore un appello di Alessandro Vaglio su facebook, un intervento coraggioso e da tenere nella massima considerazione perché arriva dal capitano della nazionale, perché arriva da un ragazzo che va in campo tutti i giorni e ha voluto metterci la faccia. Vaglio chiede di rispettare lui e i suoi colleghi, di non denigrare il nostro campionato e il nostro movimento (?) perché ci sono tanti giocatori che, come lui, ci mettono passione e orgoglio.
Giusto: gli “sfascisti” da social hanno sempre i polpastrelli caldi, ma chi fa critica di professione non può chiudere gli occhi davanti a un movimento (?) che sembra veramente al lumicino. Chi, come me – e mi scuso se ne parlo in prima persona -, ha avuto la fortuna di iniziare questa professione quando il baseball aveva ancora una certa valenza mediatica, non può far finta di niente davanti a un campionato e a uno sport che sembrano ormai un fantasma.
La riprova più emblematica? La chiusura del Rimini, una delle grandi storiche del baseball italiano, passata assolutamente inosservata sui giornali. Ce la siamo cantata e suonata nei nostri siti e nelle nostre pagine facebook di nicchia, ma sulla Gazzetta dello Sport, ad esempio, non ricordo di aver visto, non dico un’inchiesta o un articolo, ma nemmeno una breve… Questo dà l’idea del livello purtroppo a cui si è ridotto il nostro povero baseball.
E il campionato che va ad iniziare è destinato a finire nello stesso anonimato. E’ vero, tutti gli sport “minori” soffrono di un calo di interesse e di spazi sui media, ma il nostro forse è andato un po’ oltre. E questo campionato zoppo (anche se Vaglio ci prega di non usare questo aggettivo) è l’ennesima sconfitta del movimento (?). I dati sono terrificanti: 7 squadre, 24 partite, 3 mesi di regular season (20 aprile-26 luglio). Si giocano più partite in serie A2 (32) e persino in serie B (28). Non solo, ma anche il campionato dei ciechi, per restare nella nostra attività federale, dura di più: 3 mesi e mezzo. Insomma tre mesi di baseball giocato e poi nove di baseball parlato. La nostra specialità
Nella nostra storia soltanto una volta il massimo campionato ha avuto meno squadre: nel 1948, quando si assegnò il primo scudetto e il baseball si giocava solo a Milano e a Bologna. Sette squadre eguagliano il primato negativo del 2016, ma allora almeno, giocando tre sfide per giornata, si arrivò a quota 36 gare totali. Dal 1965, anno del primo campionato a doppio incontro, non si sono mai giocate così poche partite: per trovarne meno bisogna risalire al 1964 quando, nell’ultimo torneo a un incontro settimanale, ogni squadra ne giocò 18: solo 6 meno di quest’anno!
Ma proviamo a confrontarci con gli altri sport di squadra. Lasciando da parte i professionisti (calcio e basket) scopriamo che pallavolo, pallanuoto, pallamano e hockey pista hanno una serie A1 a 14 squadre; hockey prato a 12; football a 9 e solo l’hockey su ghiaccio a 8, ma quelle otto squadre giocano contemporaneamente la Alps hockey league con squadre austriache e slovene. Dunque baseball fanalino di coda. Passiamo alla durata: la stagione dell’hockey prato dura 8 mesi (settembre-aprile), quelle di ghiaccio, pista, pallanuoto e pallavolo 7, la pallamano 6 e solo il football si avvicina al baseball con 4 mesi di durata. Ma non si dica che il baseball è penalizzato dalle condizioni climatiche perché ormai la bella stagione (con buona pace degli ambientalisti) si è allungata e se si giocava in ottobre quarant’anni fa, non si vede perché non lo si possa fare ora. Il problema è che per noi tutto finisce a luglio… Come si fa a promuovere e far diventare coinvolgente un campionato così invisibile?
Altro capitolo: mi rifaccio sempre a Vaglio che giustamente rivendica la crescita tecnica del movimento (?). Ma se poi questo miglioramento non lo sfruttiamo adeguatamente per conquistare il pubblico, è un esercizio fine a se stesso. Io credo che il vero problema fondamentale del nostro movimento (?) sia quello di riportare la gente sulle tribune. Ma nel baseball italiano si parla di tutto tranne che di questo. Ci si interroga su quanti AFI o NON AFI devono giocare, quante partite, quanti inning, ma spiegatemi che cosa si fa per riempire gli stadi, che è l’unico modo per far vedere che uno sport esiste. E perché i nostri presidenti non si mettono attorno a un tavolo iniziando una riunione dai dati da brivido dei botteghini? Cosa ne dicono di un campionato che produce una media di 161 spettatori a partita?
Nel frattempo assistiamo impassibili all’implosione del movimento (?). Rispetto all’ultima serie A1 abbiamo perso per strada il 50% delle squadre, altra cifra terrificante che non trova riscontri in nessun altro sport. Quest’anno sono sparite Sesto Fiorentino, Padova (la seconda città del torneo per popolazione), Rimini e Nettuno (28 scudetti in due, stando alla certificazione federale che attribuisce i titoli al Nettuno finito in serie C). Mentre lo scorso anno era scomparso il Novara, altra piazza di una certa tradizione. Tolte Bologna (390.000 abitanti) e Parma (197.000), è una serie A1 che mette assieme poco più di centomila abitanti. Escludendo l’anomalia geopolitica di San Marino, abbiamo un capoluogo di regione, uno di provincia, due comuni e addirittura due frazioni. Oltre tutto con cinque squadre su sette concentrate nella stessa area geografica emiliano-romagnola-sammarinese.
Bastano tutti questi dati messi assieme per poter dire che la serie A1 è morta? Io credo di sì. Credo che dall’anno prossimo non si possa più assistere al tormentone del “vediamo chi si iscrive”. Credo che la federazione debba prendere una sola decisione: abolire un torneo elitario che non regge più, legato alle esigenze di pochissime società (che con la perdita del Rimini sono diventate ancora meno) e di qualche comparsa che a turno va a fiancheggiarle. Facciamo una sola serie A, che rappresenti le possibilità medie delle prime venti squadre italiane, non le pretese delle prime tre. Se il baseball italiano è in queste condizioni, forse lo dobbiamo a chi negli ultimi anni ha assecondato, e sottoscritto, questa corsa verso livelli insostenibili.
P.S. : ho messo sempre un punto di domanda dopo la parola movimento, perché non mi sembra di vedere qualcuno o qualcosa che si muova. Dobbiamo aspettare la prossima campagna elettorale?

Informazioni su Elia Pagnoni 51 Articoli
Nato a Milano nel 1959, Elia Pagnoni ricopre attualmente il ruolo di vice capo redattore dello sport al quotidiano "Il Giornale", dove lavora sin dal 1986. E' stato autore di due libri sulla storia del baseball milanese.

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