A cena con Galasso. "Hey Bob, ti andrebbe di lanciare"?

L'eroe degli scudetti del '90 e '93 è tornato a Nettuno. Aneddoti, qualche storia inedita e una missione. Farlo tornare sul monte, anche se solo per un torneo di slow pitch

Oh, guarda che quest’anno abbiamo un giocatore nuovo in squadra”. Se il baseball è una cosa seria, lo slow pitch lo è ancora di più a Nettuno e questo riguarda anche chi scrive, nonostante la residenza 70 lunghi chilometri lontano dal luogo natio e dal diamante così bramato. Tutto pronto già da giorni: divisa, scarpini, guanto, guantini, polsini, tabacco da masticare, bastone…

E la novità? Alla cena rituale che precede l’inizio del torneo appare lui come un miraggio. Sapevamo che era a Nettuno, a casa del suo vecchio amico Goffredo Danna e lo sapevamo da tempo. Perché? Goffredo e il fratello Paolo giocano con noi, semplice…

Vabbé, giocheremo con Bob Galasso almeno sino al 31 ottobre! Quale è il regolamento per i tesserati e per gli ex tesserati? E’ specificato anche per ex Major League o andiamo via lisci?

L’eroe degli anni ’90 è tornato nella sua Nettuno. Lo fece già in passato. Cosa facciamo, un’intervista? Ma no, quelle gliele abbiamo già fatte tempo fa e rischiamo di farci ripetere le stesse cose: la gioia dello scudetto, le emozioni sue e di un popolo che migrò per un fine settimana in Romagna cercando di ritrovare qualcosa che si era perso per strada diciassette anni prima. Trovate qui la prima e la seconda parte, casomai qualcuno si fosse dimenticato qualcosa

Intervista Galasso-Prima parte: https://www.baseball.it/leggi_articolo.asp?id=19267

Intervista Galasso-Seconda parte: https://www.baseball.it/leggi_articolo.asp?id=19271

E’ sempre un “omone”. Ci saluta con la sua mano enorme (ma in squadra vi assicuriamo che c’è chi lo batte) e ci comunica che no, non giocherà. “No, no way, sarò lì a portarvi l’acqua, sostenervi, ma non scendo in campo”. Galasso all’anagrafe segna 63 primavere, difficile pensare che voglia riprendere il guantone in mano. “Però, sai che razza di impatto che avremo se ci presentiamo con Galasso, gli avversari penseranno ‘figuriamoci gli altri come sono’ e almeno come prima impressione faremo una grande… impressione”. Però dai, a slow pitch figurati se non lancia. Figurati se non torna in campo come rivede il diamante. Dobbiamo lavorarcelo…

Ci si siede e si parla, finalmente, del più e del meno… “Delicious pizza, mi piace la margherita e la accompagnavo con una birra, non ricordo se era la Peroni o la Moretti, aveva la bottiglia col collo corto e stretto. Poi una volta con Jessie Reid andammo a mangiare da Peppe all’Archetto al Borgo Medievale. Di solito erano cose normali, ma dopo aver mangiato per tanto tempo gli stessi piatti gli chiedemmo se era possibile avere una pizza. Solo che era costosa e soprattutto piccola, tanto che praticamente stava dentro un normale piatto. Così, con Jessie ce ne mangiammo 6 a testa e lui si divertiva a ordinare le più costose, mentre io mangiavo solo margherita. La cosa bella fu che poi il giorno dopo il conto venne comunicato ad Alberto De Carolis che ci chiamò in dirigenza e ci fece una bella ramanzina, lui che già un’altra volta si era chiesto se non fossimo diventati una sorta di figli aggiunti visto che di tanto in tanto finiva per pagarci il pranzo”.

Rivisti i vecchi amici di un tempo? “Certo, piano piano sto rivedendo tutti. Giampiero Faraone per ora l’ho sentito al telefono, conto di rincontrarlo prestissimo. Alla fine tutti quelli che mi incontrano e che erano intorno alla squadra mi ricordano molte cose, ma su tutte una: quando sono caduto in motorino e lanciai una partita contro il Bologna con tutte le ferite. Che diavolo…”.

E qualcuno ti ferma per strada? “Si, anche se sono passati anni e molti non si ricordano più. L’altro giorno sono andato all’Accademia a vedere i bambini allenarsi, ed è strano pensare che i giocatori della prima squadra di oggi erano sì e no nati quando vincemmo quello scudetto ed i più piccoli di me hanno forse sentito parlare qualche volta”.

Alla fine la discussione va inevitabilmente sulla partita di Rimini del ’90. Quasi una perfect game per Galasso. E su quel penultimo eliminato, prima ancora che l’ultimo. Tassinari rimase al piatto con quella che “considero la migliore fastball mai lanciata in Italia. Una dritta sul filo esterno credo oltre le 90 miglia. L’aspetto emozionale di quell’out fu incredibile, perché credo per la prima volta in vita mia mi lasciai andare ad un gesto di gioia”. Piccolo e appena accennato, per carità, anche se è servito rivedere il video su YouTube per convincerlo che era andata proprio così.

Ma di quella partita che ricordi ancora? Ne abbiamo parlato qualche anno orsono quando scrissi il libro “I Nove Uomini d’Oro”, sicuramente altri ti chiederanno ancora di quella finale… Per noi tifosi, per me che scrivo, sono due ore e mezzo piene di simboli e di icone che non ci toglieremo mai dalla mente. “Mi sono sentito un po’ come Kevin Kostner nel film For The Love of The Game, quando sul monte cercava la concentrazione e il mondo spariva tutto intorno. Poi nel dugout mi resi conto che eravamo arrivati all’ultimo inning, veramente sembravo in trance e rischiavo di dover essere svegliato con uno schiocco di dita. E la cosa mi spaventò perché è come se fossi tornato nel mondo reale ed avevo paura di aver rotto l’incantesimo”. Poi arrivò la presa di Trinci, e tutto si sciolse in un pianto. “Rimasi emozionalmente stabile per tutti i festeggiamenti, poi quando vidi la mamma di Goffredo che era scesa dalle tribune a salutarmi ed era commossa, veramente mi lasciai andare”. E fu così che qualche giorno dopo su un muro di Nettuno apparse la scritta “Galasso Sindaco”.

 “Dai Bob, lancia. Facciamo che se uno vuole andare a battere contro Galasso paga 10 euro e così risolviamo il problema dell’iscrizione al torneo”. Ce ne racconta un’altra di quelle fenomenali vedendo una foto di Lenny Randle, annunciato un annetto circa fa come manager del Città di Nettuno prima, come supervisore tecnico poi, quindi come qualcos’altro che nel frattempo ci siamo persi per strada. “Lenny was a trip, era un personaggio divertente”. Il mondo è incredibilmente piccolo, minuscolo. Galasso e Randle giocarono insieme con i Seattle Mariners nel 1981, chi lo avrebbe mai detto che a distanza di qualche anno tutti e due vennero a fare la storia sportiva in una cittadina all’altra parte dell’Oceano? “Dopo una partita ci chiese se lo potevamo accompagnare in un comedy bar. Sono quei posti dove la gente sta seduta, c’è un palco e ci si esibisce in monologo o in un numero o chissà che cosa altro, tipo raccontare barzellette. Ebbene, noi dovevamo essere una sorta di scenografia vivente per un suo numero, tipo ballare, muoverci, fare rumori eccetera. Roba da sbellicarsi a pensarci adesso. Non faccio fatica a credere che sia rimasto una persona divertente come lo era una volta”.

La cena volge al termine. A vedere le forze in campo abbiamo grossomodo le stesse possibilità del Carpi di vincere lo scudetto, con tutto il rispetto per il Carpi beninteso. Un duro lavoro attende il nostro coach Camillo che però ostenta sicurezza. Almeno mi è parso di recepire questo… Si finisce inevitabilmente per parlare della situazione attuale. Quando Galasso lasciò Nettuno, questa era una cittadina felice, gioiosa della sua squadra. “Tante volte ho detto che l’accoglienza che ho trovato qui è stata incredibile”. Ma i tuoi amici, i tuoi vicini di casa, sanno che in un posto in Italia tu sei un eroe? “No, poche persone, anche se sarebbe una storia incredibile per loro sapere che a Nettuno sono una sorta di eroe”.

E che Nettuno trovi? “Non mi arrivano molte notizie negli States, ma sono a conoscenza di quello che è successo. E’ stato brutto vedere lo stadio chiuso, dismesso, e sapere che si continua a litigare dimenticandosi la grande storia che è stata fatta qui. It’s a shame”. E’ una vergogna, lo abbiamo detto tante volte anche da queste pagine. “Brutto pensare che molta gente si sia allontanata dal baseball dopo aver seguito la squadra in giro per l’Italia, che per vedere una partita uno debba andare a Roma. Ho anche notato che le cose sono diventate più costose e credo che anche gestire la squadra lo sia, forse è un momento di crisi generale per lo sport ma a questo punto ai ragazzi più giovani consiglio di provare ad andare a giocare nei College. Il livello è grossomodo quello, ma hanno perlomeno una strada precisa verso un eventuale futuro nel professionismo e al limite guadagnano un’educazione universitaria che non è cosa da poco”.

Piove, tempo di rincasare. “Hey Bob, ma che ne dici di questi Cubs?”. “Sono una bella storia sportiva, vi assicuro che in America a parte le squadre avversarie, tutti tifano per i Cubs e poi hanno un manager fenomenale, uno di quelli per il quale i giocatori danno l’anima”.

Ci si vede domenica?”. “Yes, ma non gioco, vi vengo a sostenere”. Appuntamento alle 13,30 al campo, si gioca alle 14,30. Faremo di tutto per fargli riprendere quel guantone in mano, ve lo assicuriamo. A costo di nutrirlo a margherita e Moretti sino alla sua ripartenza.

Informazioni su Mauro Cugola 546 Articoli
Nato tre giorni prima del Natale del 1975, Mauro è laureato in Economia alla "Sapienza" di Roma, ma si fa chiamare "dottore" solo da chi gli sta realmente antipatico... Oltre a una lunga carriera giornalistica a livello locale e nazionale iniziata nel 1993, è anche un appassionato di sport "minori" come il rugby (ha giocato per tanti anni in serie C), lo slow pitch che pratica quando il tempo glielo permette, la corsa e il ciclismo. Cosa pensa del baseball ? "È una magica verità cosmica", come diceva Susan Sarandon, "ma con gli occhiali secondo me si arbitra male". La prima partita l'ha vista a quattro mesi di vita dalla carrozzina al vecchio stadio di Nettuno. Era la primavera del '76. E' cresciuto praticamente dentro il vecchio "Comunale" e, come ogni nettunese vero, il baseball ce l'ha nel sangue.

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