L'ultima memorabile partita dei Garbatella Peanuts

In esclusiva per tutti i nostri lettori un racconto di Devor De Pascalis in 4 puntate ambientato nel mondo del baseball, tra Roma e Nettuno. Con i migliori auguri di Buone Feste da Baseball.it che nel 2013 celebrerà i suoi primi 15 anni

"Il futuro non è più quello di una volta" – Yogi Berra

Paolo non riusciva a chiudere occhio. E non perché qualche settimana prima i più eminenti astronomi avessero confermato che l'indomani, al tramonto, un asteroide si sarebbe abbattuto sulla terra, estinguendo la razza umana… No! Quello che a Paolo girava in testa, come un criceto dopato nella sua ruota, era il pensiero che la sua squadra rischiava di non giocare la finale del Torneo Amatoriale di Baseball del Centro Italia contro i temibili Dominicani. Non era giusto, non dopo tutto quello che avevano passato per arrivare fin lì. Ma per capire qualcosa di questa storia è necessario fare un passo indietro…

"Abbiamo fatto troppi errori sbagliati" – Yogi Berra

…fino all'estate del 1977, quando al campetto di terra battuta vicino ai lotti della Garbatella, dove Paolo giocava a calcio con suo cugino Giuliano, si presentò un ragazzino americano, rosso e lentigginoso, tale e quale al tipo di Happy Days. Si chiamava Eddie, si era trasferito in Italia da poco e non aveva ancora amici. Ecco perché, quando vide dalla finestra Paolo e il cugino giocare a pallone ebbe voglia di unirsi a loro. Ma siccome di calcio non ci capiva niente, portò con sé un paio di guantoni, una pallina e una mazza di legno. Credendolo un fuori di testa, Giuliano inventò una scusa e si dileguò. Paolo invece lo osservò fare due lanci, e poi provò anche lui: gli bastò una mezzora per abbandonare per sempre quel gioco primitivo che è il calcio e infettarsi con la malattia mentale che i più chiamano baseball.

Da qui a capirne le regole, però, il passo era ancora lungo, sia perché erano complicate, sia perché Eddie non sapeva una parola d'italiano. Fu in alcune copie di Linus, trovate nel bagno dello zio capellone, che Paolo intravide la soluzione.

Che cosa era uno strike? Che cosa era un ball? Perché quando Lucy non prendeva una palla al volo ci rimaneva male? Per quale ragione Snoopy era un buon interbase? E, soprattutto, che cosa cavolo era un interbase? Paolo si mise a studiare le strisce di Schulz neanche fossero il codice Da Vinci, ma più studiava e meno ci capiva. Meno ci capiva, però, è più la sua ossessione contagiava amici, compagni di scuola e persino Giuliano, inizialmente scettico. Fu così che in una rovente giornata di agosto Paolo li radunò tutti per costruire il primo campo da baseball della Garbatella. Sito prescelto: un fazzoletto di terra dalle parti di via Galba, strappato abusivamente a pastori abusivi che ci facevano pascolare le loro pecore abusive anche loro.

Non fu un lavoro da poco: i contorni del terreno erano irregolari, dalle parti dell'esterno destro ci cresceva la cicoria e bisognava tagliare l'erba, spianare la terra, piazzare le basi e tutto il resto; ma quando ebbero finito a Paolo quel campo sembrò il paradiso. Persino Eddie, se nel frattempo non fosse tornato negli Stati Uniti, avrebbe applaudito quella meraviglia. Prima di partire, però, gli aveva regalato una mazza da baseball di alluminio e nove guantoni regolamentari, comprati dal padre alla base NATO di Napoli: senza ombra di dubbio, il più bel regalo del mondo.

A quel punto, avendo campo, attrezzatura e giocatori, mancava solo il nome della squadra. Qualcuno propose soluzioni altisonanti (Roma Yankees); altri improbabili affiliazioni calcistiche (Juventus Baseball); altri ancora ritenevano fosse meglio volare basso (Gli Amatriciano's). Fu Giuliano a mettere tutti d'accordo: loro sarebbero stati i Garbatella Peanuts.

Dati gli ultimi ritocchi al campo si cominciò subito con gli allenamenti. Qualche mese dopo fu il tempo delle prime trasferte contro le altre squadre amatoriali della regione (Montefiascone, Viterbo, Cassino) e con esse le prime sconfitte.

A Paolo, però, quei risultati scadenti non importavano. Era certo che allenandosi duramente i risultati sarebbero arrivati. E poi, chissà, magari un giorno sarebbe andato a trovare Eddie in America e lì, dopo essere stato notato da qualche talent scout, sarebbe diventato il primo italiano a militare nella Major League Americana. Magari.

"Il baseball è per il 90{4331b014b0ae68f8bbaa1ca3406ff450b459f63284371d114794e166cd92bcbf} questione mentale, l'altra metà è questione di fisico" – Yogi Berra

Di risultati, però, i Peanuts ne videro pochini. Paolo pensava che fosse colpa dei compagni, troppo scarsi e demotivati. Ecco perché, compiuti diciotto anni, decise di fare un provino per il Nettuno, la squadra più antica della serie A italiana. Fu Giuliano, fresco di patente, ad accompagnarlo.

Paolo pensava che il Nettuno sarebbe stato un buon trampolino di lancio per gli USA: era certo di riuscire a ritagliarsi un ruolo come riserva e che da lì la strada sarebbe stata spianata. Non aveva fatto i conti con "la livella", più propriamente detta palla curva. Prima di allora non aveva mai affrontato lanciatori in grado di fare tiri ad effetto, ma quando si ritrovò davanti un giocatore del Nettuno scoprì che le palle potevano curvare a destra, a sinistra, in basso e persino verso l'alto, sfidando la legge di gravità.

Mai carriera nel professionismo fu più breve: tre lanci, tre curve e tre strike. Paolo tornò negli spogliatoi con lo sguardo basso, mentre l'allenatore del Nettuno scuoteva la testa con disapprovazione.

Per Giuliano le cose andarono diversamente. Più alto e longilineo di Paolo, nel corso degli anni era diventato un buon battitore e poi a lui certe cose riuscivano senza troppi sforzi, compreso l'affrontare quella novità delle palle curve. Tant'è che fu lui a essere preso dal Nettuno.

Paolo tornò a casa col magone. Preso atto che non sarebbe mai diventato un professionista del baseball, giurò che non avrebbe più indossato un guantone. Si dedicò agli studi, diventò ingegnere come voleva suo padre, sposò Stefania, una ragazza di buona famiglia di Roma Nord, e ci fece due figli, Martino e Camilla. A nessuno di loro accennò mai della sua passione per il baseball.

La faccenda era sepolta. Capitolo chiuso. Amen.

"In teoria non c'è alcuna differenza tra la teoria e la pratica, ma in pratica c'è" – Yogi Berra

Gli amori veri, però, non muoiono mai. Al massimo si prendono delle pause di riflessione.

Così, l'inverno prima che gli scienziati confermassero che la ridicola diceria sull'apocalisse era in realtà una verità ineluttabile, Paolo ritrovò per caso il suo vecchio guantone, chiuso da anni dentro in una scatola.

Odorava ancora di terra, erba, grasso e sudore, l'odore più buono del mondo. Se lo infilò alla mano sinistra, allargandolo col pugno destro. Gli entrava ancora. Bastò questo per far crollare le resistenze di una vita. E così, come se avesse fatto l'amore con un'amante mai dimenticata, tornò sul vecchio campo di via Galba proprio con Giuliano, il quale nel frattempo, sedotto dal fascino discreto del posto fisso, aveva mollato il baseball per fare il bidello nella scuola media del quartiere. In fondo stare in mezzo ai ragazzi gli piaceva, mentre fare il pendolare tra Roma e Nettuno non l'aveva mai convinto. Troppo pericolosa la Pontina, diceva sempre.

Insomma Paolo era di nuovo sul diamante all'insaputa di moglie e figli. D'altronde, che motivo c'era di turbare l'equilibrio familiare? Sarebbe stata una distrazione innocente, anche perché non aveva alcuna intenzione di tornare a giocare: stavolta avrebbe fatto l'allenatore!

Fu Giuliano a riportarlo con i piedi per terra: allenatore di chi? Ci volevano almeno nove giocatori per mettere in campo una squadra amatoriale decente!

Paolo pensò allora di ricorrere a un'inserzione – Cercasi giocatori di baseball per squadra amatoriale, max serietà, non chiamare ore pasti – ma per timore di essere scoperto la fece pubblicare sull'unico quotidiano che sua moglie non avrebbe mai letto: il manifesto.  Nei giorni seguenti tenne il cellulare silenziato e, come il più losco dei fedifraghi, si scambiò decine di sms con tutti coloro che, sorprendentemente, rispondevano all'annuncio. In poco tempo mise assieme un gruppetto di dodici folli appassionati di baseball e di marxismo: due cose che in Italia non andavano per la maggiore.

I Garbatella Peanuts bis cominciarono gli allenamenti in primavera. Seguirono le prime amichevoli e, subito dopo, il collettone per pagare la quota d'iscrizione al Torneo Amatoriale del Centro Italia. Tutto senza che Stefania ne sapesse nulla.

Paolo era convinto che quel passatempo innocente non gli avrebbe creato casini: quanti padri di famiglia italiani si sfogavano il sabato e la domenica sui campi di calcetto senza che questo costituisse un problema? Un esercito!

Ma il seme della follia si annida in ogni giocatore di baseball che si rispetti. Per organizzare allenamenti, amichevoli e trasferte, Paolo cominciò a saltare giornate di lavoro sempre più spesso, raggiungendo un assenteismo che neanche un parlamentare. Finché non arrivò a casa una raccomandata, e per somma disgrazia fu  Stefania ad aprirla: licenziamento per giusta causa, poiché in ufficio lo vedevano un giorno sì e uno no.

All'inizio Stefania non voleva nemmeno crederci. Avrebbe preferito che ci fosse di mezzo un'amante, magari più giovane, che suo marito fosse uno stronzo convenzionale, come quelli che avevano sposato le colleghe di banca. Ma farsi licenziare per colpa del baseball, no, questo era intollerabile!

Furono sull'orlo del divorzio. Poi, per fortuna – si fa per dire – i TG presero a parlare dell'imminente fine del mondo con un tono tutto diverso, non più ironico, e insomma le beghe sentimentali passarono in secondo piano.

E siamo all'ultima notte, con Paolo tenuto sveglio dal pensiero di quella maledetta finale che, per scherzo del destino, lui stesso aveva fissato per l'ultimo giorno del mondo, quando la faccenda dell'asteroide pareva ancora una bufala.

(Fine prima parte)

Informazioni su Devor de Pascalis 20 Articoli
Devor de Pascalis è scrittore e sceneggiatore di cinema e TV. Nato a Roma nel 1976, si innamora perdutamente del baseball nell'inverno nel 1986 quando la mamma americana lo porta a trovare lo zio di Brooklyn, grande tifoso dei Dodgers (quelli di Pee Wee Reese e Roy Campanella, per intenderci). Tornato in Italia impara le regole del gioco grazie al Nintendo e a Bases Loaded 2, segue la MLB trafugando copie di USA Today dall'ambasciata americana, si invaghisce della protagonista dell'anime "Pat la ragazza del Baseball" e si mette a giocare nella Roma come "centro panchina". Sviluppa negli anni una passione malsana per le statistiche, che ritiene il personale rimedio al logorio della vita moderna, e tifa da sempre New York Mets perché non gli è mai piaciuto vincere facile. Ancora oggi ricopre con un certo successo il ruolo di "centro panchina" nella squadra amatoriale di softball del Green Hill.

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