E la folla gridava: "Lascialo al piatto, sorella!"

Una suora afroamericana sul monte di lancio mette strike-out i più celebri battitori: è quanto si legge in "Spitballs & Holy Water", un divertente romanzo degli anni '70 che incrocia baseball, religione e discorso etnico

Dalla fine dell'Ottocento agli anni '50 del secolo scorso, quando nel baseball professionistico ai neri non era permesso giocare assieme ai bianchi, si svolsero con certa regolarità dei campionati paralleli denominati "Negro Leagues" che sanzionavano sul campo di gioco la segregazione razziale esistente di fatto nella società americana. Se le vicende del baseball afroamericano sono state ricostruite e raccontate dallo storico saggio di Robert Peterson Only the Ball Was White (McGraw Hill 1970), una delle prime apparizioni di giocatori neri nella letteratura si registra in Spitballs & Holy Water, un romanzo per molti versi "demenziale" di James F. Donohue pubblicato nel 1977 (Avon Books) di cui varrà la pena di occuparci per continuare il nostro discorso su baseball e religione. La trama del romanzo è la seguente.

Siamo nel 1927. I Chicago American Giants, campioni della Negro League, si stanno allenando per una partita dimostrativa su un campo di provincia, quando una suora nera si presenta al catcher della squadra, Robert Henry Lloyd, e chiede di poter salire sul monte di lancio per sfidare i migliori battitori della squadra. Fra lo stupore generale Sister Timothy Stoke – è questo il nome della suora – lascia al piatto ogni giocatore con soli tre lanci. Poi spiega di essere lì perché ha udito le voci di Santa Margherita e Santa Caterina che le hanno affidato una "missione per conto di Dio": per rialzare le sorti della Chiesa cattolica e combattere la segregazione razziale la suora dovrà organizzare una sfida epocale al meglio di sette partite fra i Chicago Giants e gli Yankees, lo squadrone di Babe Ruth e Lou Gehrig che aveva appeno spazzato via i Pirates nelle World Series di quell'anno. E lei stessa lancerà per i Giants. Non solo: Sister Timothy annuncia che l'arcivescovato di Boston scommetterà contro il Klu Klux Klan sulla vittoria della squadra coloured e vincerà così un milione di dollari. La somma della scommessa sarà "garantita" nientemeno che da Al Capone.

Assistiamo così alle trattative della spigliata suora afroamericana che parlerà con Babe Ruth, con le gerarchie della Chiesa cattolica, con il capo del KKK e con il gangster italoamericano per preparare la serie e la relativa scommessa. Il catcher Robert Henry Lloyd – che la accompagna nelle sue peripezie e che è anche l'anziano narratore della storia -, vuole insegnarle lo spitball, il lancio illegale che consiste nello sputare sulla palla per modificarne la traiettoria, ma Sister Timothy dice di non averne bisogno e gli confida il segreto dei suoi lanci: Dio le ha dato il potere di fermare il tempo. Così dopo aver lanciato, la suora "congela" l'azione dei giocatori, scende dal monte, sposta oltre il piatto la palla ferma a mezz'aria e la deposita nel guanto del ricevitore.

Giunge il giorno della prima partita. Lo stadio è stracolmo e tutto il Paese ascolta alla radio come la suora porta a termine un no hit e vince anche le due partite successive. Ma a un passo dalla vittoria finale le gerarchie cattoliche (che nel libro appaiono invischiate in interessi economici poco "spirituali") ordinano l'interruzione della serie: la schiacciante superiorità dei Giants sta facendo nascere nell'opinione pubblica una forte antipatia per la squadra coloured e c'è il rischio che ciò possa pregiudicare la corsa alla presidenza degli Stati Uniti del governatore di New York, il cattolico Al Smith.

La scena finale del romanzo è indimenticabile: sola di notte sul mound nello Yankee Stadium vuoto, Sister Timothy riceve la visita del Diavolo che ha preso le sembianze di Groucho Marx e le propone una sfida: se la suora sarà capace di metterlo strike out lui permetterà che un giorno bianchi e neri giochino nella stessa squadra e che di lì a cinquant'anni un giocatore afroamericano batta il record di fuoricampo di Babe Ruth; altrimenti lei dovrà cedergli l'anima. Sister Timothy sa di aver ormai perso il potere di arrestare il tempo, ma accetta lo stesso la scommessa. Il diavolo l'avverte di essere in grado di battere qualsiasi lancio, anche lo spitball. Ma la suora sale sul monte e lascia al piatto Satana per poi confessargli il suo ultimo "trucco": prima di lanciare ha bagnato la palla con l'acqua santa. E effettivamente, così come è "profetizzato" nel romanzo, nel 1974 il nero Hank Aaron battè il record di Ruth, per chiudere poi la carriera due anni dopo con 755 homeruns all'attivo.

La storia è certamente bizzarra, ma il romanzo è godibile e pone in rilievo alcune questioni di indubbio interesse. Vi troviamo l'ormai solita contaminazione fra finzione e realtà, con personaggi storici trapiantati direttamente nelle pagine del libro (come Babe Ruth) e altri appena camuffati (la figura di Robert Henry Lloyd è chiaramente ispirata a quella di John Henry "Pop" Lloyd, il mitico interbase delle Negro League di quegli anni). E sono anche evidenti gli elementi in comune con i "classici" The Natural di Malamud e The Year The Yankees Lost The Pennant di Wallop (il tema del "campione venuto dal nulla", le prestazioni atletiche eccezionali dovute a sortilegi, l'apparizione del diavolo, ecc.) sottolineati spesso da puntuali riprese testuali.

Vi è poi l'idea che il baseball possa svolgere una funzione salvifica nel mondo. Sister Timothy è una nuova Giovanna d'Arco (come la Pulzella di Orléans, anche la suora nera ode delle voci) eletta da Dio per riscattare le minoranze emarginate dalla società americana WASP (White-Anglo-Saxon-Protestant) come gli afroamericani e i cattolici. In questo senso il romanzo si inserisce nella lettura "etnica" del baseball e della sua tradizione, che è una delle costanti del discorso identitario della cultura americana. Nella misura in cui il battiecorri riflette la società, le sua complessità e le sue tensioni, sarà quindi possibile raccontare il baseball degli afroamericani, degli italoamericani, degli ispanici o degli ebrei. Per ogni gruppo il campo da gioco è il luogo in cui rappresentare la propria ascesa sociale nel contesto della società multietnica. In questo senso le vicende individuali di campioni come Joe DiMaggio o "Yogi" Berra, Roberto Clemente o José Canseco, Jackie Robinson o Hank Aaron (o, nel romanzo di Donohue, Sister Timothy), assumono un valore collettivo in quanto proiezioni di una intera comunità.

In Spitball & Holy Water c'è poi un altro aspetto notevole, segnalato da Allen Hye in The Great God Baseball (Mercer University Press 2004), il saggio che ha il merito fra l'altro di aver "riscoperto" questo romanzo da tempo fuori catalogo e che può essere reperito solo sul mercato dell'usato. Nel libro di Donohue vi è un uso consistente di elementi soprannaturali che da un lato sviluppano alcuni spunti già presenti in Malamud e Wallop e dall'altro preannunciano il realismo magico dei romanzi e dei racconti di W. P. Kinsella (di cui il più noto al pubblico italiano è senza dubbio Shoeless Joe Jackson, tradotto dalla casa editrice 66thand2nd). In particolare, la manipolazione del tempo (e l'atemporalità del gioco è – come abbiamo visto – insita nella struttura del baseball) si ritroverà in molta narrativa successiva. Se, come sostiene Hye, Spitball & Holy Water è "l'anello mancante" di una genealogia di testi che associano baseball e religione, va detto comunque che in quei romanzi tale commistione si traduce in un progressivo allontanamento dalla fede "istituzionale" delle varie Chiese e nell'addentrarsi in un mondo in cui trova spazio l'elemento magico e meraviglioso che risuona da sempre negli aspetti rituali del gioco.

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Un vita spezzata in tre: venticinque anni a Roma (lanciatore e ricevitore in serie C), venticinque anni in Spagna (con il Sant Andreu, il Barcelona e il Sabadell, squadra di cui è stato anche tecnico, e come docente di Letteratura Comparata presso le università Autónoma de Barcelona e Extremadura), per approdare poi in terra umbra (come professore associato di Letteratura Spagnola presso l'Università di Perugia). Due grandi passioni: il baseball e la letteratura (se avesse scelto il calcio e l'odontoiatria adesso sarebbe ricco, ma è molto meglio così...).

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