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Carlos Beltran dice addio al baseball giocato

I numeri parlano da soli: 2.725 valide, 312 basi rubate, 1587 punti battuti a casa e 435 fuoricampo. Quest'ultimo dato è ancor più impressionanti se si considera che Beltran è il quarto battitore ambidestro a spedirne fuori così tanti. E poi i premi e i riconoscimenti, tra cui quello come miglior matricola nel 1999, i tre guanti d'oro come miglior esterno centro, e le 9 convocazioni all'All-Star Game.
E pensare che Carlos, nato a Porto Rico nel 1977, voleva fare il giocatore di pallavolo. Fu il padre a spingerlo dedicarsi solo al baseball quando il figlio compì i 17 anni, e col senno di poi possiamo dire che fu la scelta giusta. Non solo alla luce dei 222 milioni di dollari accumulati nel corso della sua carriera ventennale.
Da quando fu selezionato dai Royals di Kansas City nel 1995 al recente addio, mai l'ombra di uno scandalo dentro o fuori del campo. Anzi, Beltran si è sempre impegnato in prima persona per aiutare i ragazzi del proprio paese. In particolare con la sua fondazione finanziata con parte dei suoi guadagni ha costruito una Accademia-liceo per aiutare i giovani a studiare e al tempo stesso a inseguire il sogno di una carriera sportiva. La Carlos Beltran Academy è entrata in funzione nel 2011 e ha diplomato i suoi primi studenti nel 2013. Oltre alle normali materie scolastiche vi si insegna anche il baseball, con diversi ex-giocatori di MLB nel ruolo di insegnanti. Un vero e proprio sogno per tanti ragazzi portoricani che altrimenti non avrebbero potuto né studiare né ambire ad una carriera nella massima serie americana. Anche per questo impegno Beltran ha ricevuto il prestigioso premio alla memoria di Roberto Clemente nel 2013.
Al numero 15 mancava solo un traguardo nella sua illustre carriera. Traguardo che lo aveva eluso nonostante avesse giocato in squadre di tutto riguardo come Mets, Giants, Cardinals, Yankees… ovvero indossare l'ambito anello che viene consegnato a tutti i giocatori vincitori delle World Series. Ma anche questo obiettivo Beltran lo ha raggiunto pochi giorni fa, quando gli Houston Astros hanno sconfitto i Los Angeles Dodgers in gara sette.
Un finale degno di una stella del suo calibro. E poco importa se lui abbia giocato poco o nulla durante la fase finale (appena tre turni in battuta senza nemmeno una valida). Beltran aveva ormai ben poco da dimostrare da quel punto di vista, visto quanto fatto in carriera nelle precedenti e, fino a quel punto mai vittoriose, postseason: media battuta .307, media di andata in base di .412 e media bombardieri .609. Numeri che gli sono valsi il soprannome di "Señor Octubre", ovvero nuovo Mr. Ottobre, e che vorrebbe paragonare le sue gesta a quelle del celeberrimo esterno degli Yankees, Reggie Jackson.
I critici più impietosi potrebbero puntare allo strike out del 2006 durante la partita del playoff tra Cardinals e Mets, incassato senza girare su conto pieno contro un ancor giovane e inesperto Wainwright: eliminazione che tagliò le gambe alla squadra di New York e spianò la strada a quella di Saint Louis. Ma si tratta veramente di piccole ombre che solo una minoranza dei tifosi della Grande Mela può ricordare, in una carriera altrimenti esemplare e condotta con una professionalità senza eguali.
Dunque buono e meritato riposo señor Beltran, e chissà che tra qualche anno lui e il Mr. October originale non possano incontrarsi in uno dei lunghi corridoi del museo di Cooperstown, altrimenti noto come Hall of Fame. Nessuno si stupirebbe, nemmeno i tifosi più rancorosi dei Mets, che in realtà già stanno ingolfando la rete di commenti per spingere il giocatore a farsi ritrarre col cappellino della propria squadra del cuore nella placca commemorativa del museo, quando e se quel giorno mai arriverà.

 

Devor de Pascalis

Devor de Pascalis è scrittore e sceneggiatore di cinema e TV. Nato a Roma nel 1976, si innamora perdutamente del baseball nell'inverno nel 1986 quando la mamma americana lo porta a trovare lo zio di Brooklyn, grande tifoso dei Dodgers (quelli di Pee Wee Reese e Roy Campanella, per intenderci). Tornato in Italia impara le regole del gioco grazie al Nintendo e a Bases Loaded 2, segue la MLB trafugando copie di USA Today dall'ambasciata americana, si invaghisce della protagonista dell'anime "Pat la ragazza del Baseball" e si mette a giocare nella Roma come "centro panchina". Sviluppa negli anni una passione malsana per le statistiche, che ritiene il personale rimedio al logorio della vita moderna, e tifa da sempre New York Mets perché non gli è mai piaciuto vincere facile. Ancora oggi ricopre con un certo successo il ruolo di "centro panchina" nella squadra amatoriale di softball del Green Hill.

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