«I miei dieci anni sulla panchina della nazionale italiana»

Il manager azzurro Marco Mazzieri sfoglia l'album dei ricordi azzurri, dalla chiamata di Riccardo Fraccari, alla vittoria con gli Stati Uniti, fino al World Baseball Classic 2017, «il più bello tra i tre disputati»

Marco Mazzieri, concluso il World Baseball Classic («Il più bello tra i tre disputati», è tornato nella sua Roselle, nel salone di auto, per riposarsi, per meditare prima di gettarsi nuovamente nelle mischia per nuove avventure. La decisione di lasciare la nazionale è presa da qualche mese non c'è margine di ripensamento. E allora, prima di chiudere questo capitolo di una vita dedicata al baseball (durato dieci anni con due titoli europei, un bronzo nella Coppa Intercontinentale, la qualificazione al 2° turno del WBC 2013 oltre a tante belle affermazioni) il manager grossetano si racconta in una lunga intervista. 

«Sono stati dieci anni intensi – esordisce Marco Mazzieri – partendo dal ricostruire una situazione difficile. Quando il presidente Fraccari mi ha chiesto di prendere in mano questa squadra l'ambiente era spaccato per più motivi. Quello che lui mi ha chiesto era possibilmente di vincere e di ricreare un gruppo affiatato che potesse andare avanti un po' di anni, oltre allo sviluppo di giovani talenti che avevamo. E in questo crediamo di essere riusciti perché nel corso di questi anni tanti giocatori che io avevo avuto con la nazionale juniores dal 2005 al 2007 e poi in Accademia e che sono entrati nel giro della nazionale maggiore».
E' stato insomma il proseguimento di un progetto iniziato qualche anno prima.
«Sì, credo che la cosa più positiva, al di là di tutto, è che io sono riuscito a fare una trafila, prima con la nazionale Cadetti, e in quel gruppo c'erano Paolino Ambrosino e Renato Imperiali, poi con la nazionale Juniores, l'Accademia, fino ad arrivare alla Seniores. Abbiamo vinto, abbiamo sviluppato talento, sono stati dieci anni molto forti da tutti i punti di vista».
Mazzieri non riesce a fare una graduatoria dei successi, perché ci sono state anche delle sconfitte che hanno avuto valore quanto una vittoria.
«Il modo in cui noi abbiamo affrontato l'Europeo 2016 – spiega il tecnico grossetano – con la formazione che avevamo, con otto ragazzi di scuola italiana in campo ed Epifano all'interbase, e abbiamo giocato alla pari con Spagna e Olanda che avevano sicuramente un roster, un monte di lancio decisamente superiore al nostro. dal punto di vista dell'allenatore abbiamo giocato un grossissimo Europeo. In questo sport si dice: "Sei buono per quanto è buono il tuo monte di lancio". Una verità: si è visto anche nella finale del Classic: Stroman ha tirato una partita incredibile, gli Stati Uniti hanno vinto e Portorico ha perso, nonostante avesse una squadra molto molto forte».
Con Mazzieri abbiamo provato a sfogliare l'album dei ricordi.

«Ci sono tanti momenti indimenticabili: a cominciare dall'incredibile con gli Stati Uniti nel 2007; l'Europeo 2010, dopo sei edizioni che non vincevamo, è stato incredibile, l'Europeo 2012 in casa dell'Olanda, che l'aveva organizzato per vincere e per festeggiare i cento anni della loro Federazione, è stato altrettanto bello. E' stato un percorso reso splendido da tutti quei ragazzi che hanno indossato la maglia azzurra».
Tornando indietro nel tempo si arriva al Mondiale 2009, giocato sui diamanti italiani.

«Non mi ha lasciato per niente contento – sottolinea Marco Mazzieri – ma in quel torneo noi contavamo di avere Liddi e Maestri che non ci sono stati dati perché le loro squadre di singolo A erano impegnate nei playoff e non dimentichiamo l'infortunio di Beppe Mazzanti, che in quel momento era uno dei giocatori più importanti di quella squadra. Con queste tre assenze diventava difficile competere a quel livello lì».
LA DELUSIONE DEL PREMIER 12. «Sono rimasto particolarmente scontento del Premier 12 del novembre 2015 e da lì ho pensato che era il momento di pensare a fare qualcos'altro. E' stata una trasferta difficilissima, un po' per le condizioni ambientali: per noi italiani è difficile abituarsi a un mese di Cina Taipei, con il loro modo di vivere, il loro modo di mangiare, la loro organizzazione. E' stato pesante, con tutti i trasferimenti in pullman che ci siamo dovuti sobbarcare sia per fare allenamento che per le partite. Una trasferta difficile sotto tutti i punti di vista».
E siamo all'ultimo World Baseball Classic: «Se dovevo scrivere un modo migliore per finire la mia carriera di allenatore della nazionale lo immaginavo così: le emozioni che mi porto dietro dopo questo Classic sono difficilmente spiegabili perché tutto il gruppo, dai magazzinieri, alle persone che ci sono girati intorno, da Marina Lalli ai tre massaggiatori, i preparatori atletici, i ragazzi, il coaching staff, è stato di un livello incredibile. C'era una voglia di lottare su ogni lancio e dopo che ci siamo incontrati il 5 marzo con tutte queste persone tutti hanno messo da parte l'ego per la causa comune e hanno giocato come una squadra. La vittoria con i Chicago Cubs rimane nella storia del baseball italiano: la cosa che ci gratifica di più è che sette di quei giocatori lì hanno giocato gara7 delle World Series. Con quella formazione in campo stavamo 6-1 per noi. E il fuoricampo vincente di Segedin al nono ha cementato ancora di più l'armonia del gruppo e l'energia che c'è all'interno. C'era un'atmosfera, un'adrenalina incredibile dentro al dugout in quella gara con i Chicago Cubs. Sembrava di giocare una gara di World Series. E da lì è iniziato tutto. Meglio di così non poteva finire questa avventura. Il mio classic più bello, al di là del fatto che non siamo andati al secondo turno ma che eravamo così vicini. A renderlo speciale è stato l'atteggiamento di tutte queste persone».
Il risultato del Classic è giusto?

«No, mi sarebbe piaciuto che avesse vinto Portorico, se lo meritava, hanno giocato come una vera squadra fin dall'inizio, avevano l'entusiasmo giusto e la passione giusta. Gli Stati Uniti hanno vinto perché dovevano vincere, perché altrimenti il Classic nel 2021 non ci sarebbe stato. Sono diventati squadra, la mano di Jim Leyland sicuramente si è vista, ma è anche vero che il regolamento di questo torneo è stato fatto per portare in fondo la squadra che aveva più scelte. Israele è una meteora perché non hanno un movimento nel loro paese; da un punto di vista commerciale a Major League Baseball fa comodo così,  però non ci vedo un futuro. L'Olanda dimostra ancora una volta che, a differenza di noi, riescono a produrre lanciatori. E' vero sono favoriti dal fatto di avere Curacao e Aruba come territorio olandese, però è vero che loro via via i lanciatori li trovano, a partire da Van Mil e Stuifenberger, che tirano sopra le novanta miglia».

Informazioni su Maurizio Caldarelli 460 Articoli
Giornalista del quotidiano "Il Tirreno" di Grosseto, collabora anche con la Gazzetta dello Sport.

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