Il silenzio, il gesto, le parole d'odio: il baseball come riscatto

Il mitico Satchel Paige sbaraglia dal monte di lancio le leggi della segregazione razziale in un grande romanzo grafico di James Sturm: "Satchel Paige. Striking Out Jim Crow" (2007), ambientato nell'America degli anni '40

Non puoi frequentare le stesse scuole dei bianchi. Non puoi mangiare negli stessi ristoranti dei bianchi. Non puoi dormire negli stessi alberghi. Non puoi usare gli stessi bagni. Non puoi sederti accanto a un bianco sul treno o sull'autobus. Non puoi giocare a baseball assieme ai bianchi. E se alzi la testa, un bel linciaggio e ti zittiamo per sempre… È la legge di Jim Crow, la legge della segregazione razziale che milioni di afroamericani -soprattutto nel Sud degli Stati Uniti- sperimentarono sulla propria pelle per generazioni. Nonostante la Costituzione americana proclamasse l'uguaglianza di tutti gli uomini, nonostante fosse stata combattuta una sanguinosa Guerra Civile per la liberazione degli schiavi, di fatto i cittadini neri venivano ancora trattati come inferiori da gran parte dei loro compatrioti bianchi. E sebbene il Civil Act del 1964, sotto la spinta delle lotte del Movimento per i Diritti Civili, avesse abolito ogni forma di segregazione, basta leggere i giornali di questi giorni per capire come il pregiudizio razzista sia ancora oggi duro a morire (e non solo in America…).

Il baseball, come abbiamo visto più volte in questa rubrica, è stato al tempo stesso lo specchio del Paese e il crogiuolo che ha contribuito ad amalgamarne la diversità multietnica. Ed è per l'appunto una storia di baseball e razzismo che leggiamo nel romanzo grafico Satchel Paige. Striking Out Jim Crow (The Center for Cartoon Studies, 2007), scritto a quattro mani dal disegnatore James Sturm e dallo sceneggiatore Rich Tommaso. Se Sturm era già noto nel mondo del fumetto per il suo The Golem's Mighty Swing (2001), in cui aveva narrato le vicende di una squadra composta di soli ebrei negli anni '20, stavolta il suo racconto si incentra sulla figura di Leroy "Satchel" Paige.

"Satchel" Paige (1905?-1982) è stato uno dei più grandi pitcher della storia del baseball. Benché potesse giocare solo nei circuiti delle Negro Leagues e sbarcasse il lunario col cosiddetto barnstorming (partite di esibizione giocate contro squadre dilettantistiche locali, in cui spesso lo sport si confondeva con l'entertainment e i giocatori neri erano costretti a eseguire numeri clowneschi), divenne presto un mito per la precisione, la velocità e la varietà dei suoi lanci imbattibili. Fu solo dopo l'esordio di Jackie Robinson con i Dodgers che Paige, ormai ultraquarantenne, riuscì ad approdare nelle Major, firmando un contratto con Oakland (per chi volesse saperne di più sulle Negro Leagues, può consultare il classico Only The Ball Was White, di Rober Peterson, Oxford UP 1970, ma ristampato più volte).

Ma la storia di Sturm ha anche un altro protagonista: un ragazzo nero che nel 1929, a diciotto anni, lascia moglie e figlio per sfuggire alla miseria, al lavoro nei campi di cotone di Mr. Jennings, il terratenente di Tuckwilla, Alabama, e provare a giocare nelle Negro Leagues. Questo ragazzo, di cui non viene mai fatto il nome, è il narratore in prima persona del romanzo. Un giorno in una delle sue prime partite affronta sul diamante Satchel Paige, una figura slanciata, quasi languida, che entra ed esce dal campo in silenzio: "Era difficile credere che un uomo che si muoveva così lentamente potesse lanciare a quella velocità". Quella sarà l'ultima partita del ragazzo, che riesce a battere una valida e poi a segnare un punto ma si frattura un ginocchio scivolando a casa base. Quindici anni più tardi porterà suo figlio a veder giocare Paige in una squadra "nera" di passaggio a Tuckwilla che affronta la formazione locale in cui invece giocano i figli di quel Mr. Jennings che tante sofferenze e umiliazioni aveva inflitto ai suoi lavoratori neri. La squadra afroamericana è di molto superiore. Il loro è un baseball fatto di velocità, di aggressività sulle basi, di bunt e line-drive improvvisi, ma non c'è volontà di schiacciare i locali, quei figli della borghesia bianca ai quali, nella logica dello spettacolo, viene persino permesso di segnare qualche punto. Ma i giocatori e il pubblico non sopportano l'idea di essere sconfitti da una squadra di neri e, schiumanti di rabbia, esplodono in insulti razzisti. È quando il grande "Satchel" Paige salirà sul monte per impartire loro una lezione indimenticabile di sport e dignità.

Il racconto si impregna della tematica del ricordo, di quella dimensione della memoria che è tipica di tante manifestazioni, letterarie e non, riguardanti il baseball: la voce di un testimone che racconta la propria vicenda personale collegata a un episodio di gioco, e al tempo stesso, sullo sfondo, l'affresco collettivo di un'America forse tramontata ma che sembra ancora sopravvivere sottopelle.

Il tempo della narrazione è lento come i movimenti di Paige, eppure teso come i suoi fastball. Le inquadrature bicolori si snodano sulla pagina creando un'attesa snervante che prepara l'apparizione del mitico lanciatore, di colui che è davvero superiore alle miserie del sistema. Un uomo saggio ed enigmatico che si staglia sul monte, l'eroe in cui ogni spettatore allo stadio (e ogni lettore) assetato di giustizia potrà indentificarsi. Una figura messianica che ristabilirà nella partita quell'uguaglianza fra gli uomini inesistente appena pochi metri fuori dal diamante. Ancora una volta, dunque, il gioco, il campo, la partita, vengono visti come un recinto a sé in cui non valgono le regole del mondo esterno, uno spazio-tempo in cui tutto è possibile, in cui gli oppressi cercano e ottengono un riscatto. Alla folla urlante si risponde col silenzio; alle parole cariche d'odio si risponde col gesto atletico. Con la sua squadra avanti di un solo punto all'ultimo inning, Paige fa sedere in terra tutti i suoi difensori, interni ed esterni, a braccia conserte dietro la seconda base. Poi con soli nove lanci mette strikeout i tre battitori avversari, scende dal monte e abbandona il campo davanti alla folla ammutolita.

Satchel Paige. Striking Out Jim Crow è forse meno noto dell'altro romanzo grafico di Sturm dedicato al baseball, The Golem's Mighty Swing, ma non gli è assolutamente inferiore. Ne sarebbe auspicabile un'edizione italiana, ma l'originale in inglese è facilmente reperibile per pochi euro (magari usato) nelle librerie online.

Nel nostro prossimo appuntamento ci occuperemo di un romanzo "di baseball" ormai classico, The Great American Novel di Philip Roth, la cui traduzione italiana è stata ristampata recentemente da Einaudi. Sturm e Roth: due letture ideali per queste vacanze di Natale.

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Un vita spezzata in tre: venticinque anni a Roma (lanciatore e ricevitore in serie C), venticinque anni in Spagna (con il Sant Andreu, il Barcelona e il Sabadell, squadra di cui è stato anche tecnico, e come docente di Letteratura Comparata presso le università Autónoma de Barcelona e Extremadura), per approdare poi in terra umbra (come professore associato di Letteratura Spagnola presso l'Università di Perugia). Due grandi passioni: il baseball e la letteratura (se avesse scelto il calcio e l'odontoiatria adesso sarebbe ricco, ma è molto meglio così...).

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