Rizzotti, l'onda bianco, rossa e verde della Louisiana

Intervista esclusiva con il promettente lanciatore Tony Rizzotti fra i protagonisti, insieme ai compagni David Napoli e Garret Cannizaro, dell'avvio della stagione NCAA con i Green Wave della Tulane University

Nella zona centrale di una New Orleans che a sette anni dall'uragano Katrina è quasi tornata alla normalità c'è il campus dell'università di Tulane, un prestigioso ateneo privato. Nel baseball giovanile a stelle e strisce, la Louisiana è da sempre uno degli stati di punta soprattutto con il rinomato programma di LSU, per anni leader a livello NCAA e ora in una fase di ricostruzione sotto le sapienti mani del coach Paul Mainieri (figlio di Demie, ex-Nettuno).

Per il 2013 sono buone le aspettative per i Green Wave di Tulane, guidati per la 20esima stagione da Rick Jones, che si augurano di scalare la classifica della Conference USA e arrivare alle finali NCAA di giugno. Per fare tutto ciò si affidano al talento e alla voglia di giocare del promettente e possente (supera il metro e novanta) lanciatore Tony Rizzotti: reduce da un anno di inattività al Grayson Community Junior College per l'ennesima operazione al ginocchio, aveva iniziato la sua carriera universitaria a Texas Christian nella stagione 2011 collezionando solo 6 presenze come rilievo a causa del primo intervento al ginocchio.

Rick Jones lo ha visto in gran forma nella pre-season e gli ha così affidato il ruolo di partente nella prima gara d'esordio. Partita completa, una "one hit" ed uno "shut-out" da parte del texano Rizzottti nella vittoria dei suoi contro Sam Houston State. Rizzotti ha poi solo in parte bissato questa super prestazione nell'ultimo fine settimana al Turchin Stadium, il diamante di casa, nella sfida molto "tricolore" contro la Notre Dame di Trey Mancini, Frank DeSico e Conor Biggio (figlio dell'ex-Houston Astros, Craig Biggio). Tulane è uscita sconfitta nel match di apertura del trittico per 2-1 con Rizzotti che ha concesso solo 4 valide in 6 innings ma una di queste, il fuoricampo da 2 dello slugger Erik Jagielo, è stata decisiva per il risultato finale.

Tony Rizzotti ha chiaramente attirato le attenzioni di molti scout della MLB e sotto la guida del pitching-coach Chad Sutter, figlio di Bruce Sutter già entrato nella Hall of Fame del baseball, sta aggiungendo al suo "letale" slider che supera tranquillamente le 90 miglia, un ottimo "split finger". Con grande disponibilità ha accettato di rispondere in esclusiva alle domande di Baseball.it.

Tony, dicci qualcosa delle tue origini italiane…

La mia famiglia è siciliana, più precisamente di Catania. Mio padre mi dice spesso che abbiamo discendenze nobili ma non mi sono mai interessato ad approfondire le ricerche. Il mio bisnonno si chiamava Stefano ed è emigrato a New York all'inizio del secolo scorso.

Hai sentito parlare dell'Italian Baseball League e cosa sai del baseball giocato in Italia?

Molto poco, anche se tempo fa con l'avvicinarsi del World Baseball Classic mi ero interessato su come era possibile essere inserito nel roster della Nazionale italiana. C'era una possibilità teorica ma prima di tutto avrei dovuto seguire un lungo iter burocratico. Qui negli Stati Uniti quando si parla di baseball giocato oltreoceano si pensa subito al Giappone e alla Corea del Sud, ma so che in Italia avete un buon campionato.

Quando e perché hai iniziato a giocare a baseball?

Ho iniziato a 8 anni perché quando arrivava la bella stagione tutti i miei amici giocavano…

Qual è il giocatore che ammiri di più?

Sicuramente Ryan Vogelsong dei San Francisco Giants, perché le sue traversie in carriera, anni nelle Minors ed in Giappone, mi ricordano, con le dovute proporzioni, i problemi fisici che mi hanno tormentato in questi ultimi due anni facendomi pensare più volte di lasciar perdere. Ryan ha tenuto duro. Di recente ho visto uno show televisivo "The Franchise" che ha seguito tutti i giocatori dei Giants e parlando della sua storia mi ricordo una frase in particolare: "Il gioco gli ha detto più volte di smettere ma lui ha continuato a crederci" e questo è quello che sento può valere anche per me.

Quali consideri i tuoi punti di forza e su quali aspetti pensi di dover migliorare?

Il mio punto di forza è certamente il controllo che mi permette di fare ogni tipo di lancio con ogni conto e dove voglio. Vorrei migliorare i miei fondamentali difensivi e correggere la mia tendenza a sbilanciarmi da una parte del monte dopo il rilascio. Sarò molto contento se riuscirò a limare questi difetti.

Quali sono le tue aspettative personali e per la squadra in questa stagione?

Personalmente vorrei prima di tutto restare in forma e mantenere il mio posto nella rotazione dei lanciatori. Come squadra puntiamo alle College World Series ma per arrivare a questo il primo passo è raggiungere la post-season.

Come ti sei sentito dopo la tua grande performance nell'opening day?

E' come un sogno. E' successo due settimane fa ma non ci posso ancora credere.

Perché hai deciso di trasferirti a Tulane?

Non avevo molte offerte di borse di studio perché nessuno sapeva come avrei superato i miei problemi fisici e nessuno mi voleva dare un'altra possibilità. Poi è arrivata Tulane e soprattutto coach Jones che mi sta dando tanta fiducia che spero di ripagare sul diamante. Un altro fattore ugualmente importante, in particolare per i miei genitori, è l'alto livello accademico di Tulane.

Che tipo di rapporto hai con il tuo allenatore e i tuoi compagni?

L'atmosfera che si respira nel dugout è quella di una famiglia, ci aiutiamo gli uni con gli altri. Coach Jones non parla molto durante le partite, è molto superstizioso, ma dopo è sempre disponibile per una chiacchierata e lo ritengo un modello da imitare.

Informazioni su Andrea Palmia 159 Articoli
Andrea Palmia è nato a Bologna il 4 aprile 1968 e vive nel capoluogo emiliano con la moglie Aurora e la figlia Lucia di due anni. Laureato in Pedagogia con una tesi sperimentale sui gruppi ultras, lavora dal 1995 come educatore professionale con utenti disabili mentali e fisici. Appassionato di sport in genere ed in particolare di quelli americani, ha sempre avuto come sogno nel cassetto quello di fare il giornalista sportivo. Dal baseball giocato nel cortile del condominio con una mazza scolorita alle partite allo stadio Gianni Falchi con i fuoricampo di Roberto Bianchi e Pete Rovezzi, il passo è stato breve. Fortitudino nel DNA, nutre una passione irrazionale per i "perdenti" o meglio per le storie sportive "tormentate" fatte di pochi alti e di molti bassi.

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