"Questo è il Paradiso?"… "No, è l'Iowa"

Due modi di arrestare e comprimere il tempo sono la chiave del romanzo "Shoeless Joe" di Kinsella. Il diamante visto come un nuovo Paradiso fuori dal tempo dove a tutti è concessa una seconda chance nella vita

"Se non avessi girato a vuoto quella curva esterna… se non avessi sbagliato quella presa al volo… se avessi un'altra opportunità… se potessi tornare indietro…". Quante volte abbiamo ripercorso con il pensiero le partite del passato, abbiamo rigiocato mentalmente quell'inning andato storto, abbiamo immaginato di poter riavvolgere il film ed imboccare di nuovo la strada giusta dopo aver sbagliato il cammino? Nella vita, ovviamente, ciò non è possibile. Viviamo immersi nel tempo e nello spazio, condannati ad avanzare in linea retta, e ogni minuto scandito dall'orologio è un minuto non più recuperabile, perso per sempre.

Tuttavia gli uomini hanno trovato il modo di immobilizzare il tempo e obbligarlo a ripetersi a volontà: la narrazione. Ogni volta che raccontiamo una storia o rievochiamo un ricordo stiamo facendo rivivere ciò che non è mai stato o che non è più, costruendo un discorso che dà anche un senso e una struttura agli avvenimenti narrati. Difatti, se il tempo è costituito da una successione aperta, non definita in anticipo, di eventi, una storia non possiede solo una propria logica basata su principi razionali (per esempio, il rapporto causa-effetto), ma anche una forma chiusa, delimitata, fissa, e quindi ripetibile. In particolare le narrazioni mitiche che riaffiorano costantemente nello sviluppo delle culture umane si presentano come immutabili, ricorrenti e dunque dotate di una sorta di validità atemporale: i miti in qualche modo "arrestano" il tempo perché sono "fuori" dal tempo.

Anche il gioco -come la letteratura- delimita, struttura e dà un senso a una porzione del tempo. Nello specifico, il baseball (lo sport atemporale per eccellenza, come abbiamo detto più volte) condivide con la narrazione questa capacità di creare un proprio tempo mitico in qualche modo indipendente dallo scorrere del tempo "oggettivo". È quanto suggerisce uno dei più interessanti  saggi sulle strutture narrative del battiecorri, Ground Rules, di Deeanne Westbrook (University of Illinois Press, 1996).

È un'idea che trova ampi riscontri nella trama di Shoeless Joe. Nel romanzo di Kinsella vengono varcate varie soglie spazio-temporali in entrambe le direzioni: "in avanti", quando vengono fatti tornare in vita prima Shoeless Joe Jackson e il resto dei giocatori del cosiddetto scandalo dei Black Sox, poi Archie "Moonlight" Graham, e infine John Kinsella, il padre del protagonista Ray; "all'indietro", quando il millantatore Eddie Scissons, "il più anziano Cub vivente", vede se stesso ringiovanito salire sul mound del campo magico. A tutti loro è data una nuova possibilità: Joe e i suoi compagni potranno tornare a giocare per la prima volta dopo la loro squalifica del 1919; Archie Moonlight, che da giovane (e da vivo) aveva giocato solo mezzo inning in Major League potrà finalmente andare alla battuta; Eddie potrà davvero lanciare in una squadra di professionisti; il padre di Ray potrà conoscere suo figlio e giocare con lui. Il ritorno dal passato, la sospensione del tempo e la convivenza gioiosa di uomini di diverse epoche dediti solo a giocare rimandano a uno dei miti fondazionali della nostra cultura: il campo -il giardino dei piaceri, recintato e perfetto- è il locus amoenus della tradizione letteraria e, prima ancora, il Giardino dell'Eden, il Paradiso Terrestre. I giocatori vivono in una dimensione di felicità che contrasta con le privazioni e le difficoltà esistenti fuori dal campo, nel nostro spazio-tempo, dove il lavoro (opposto al gioco) e la sua logica pratica imperano come conseguenza per l'appunto della cacciata dal Paradiso Terrestre ("Ti guadagnerai il pane con il sudore della fronte", dice Dio ad Adamo in Genesi 3, 17). In questo senso, Ray è una figura adamitica: egli ha strappato una parte del campo di mais alla logica della produttività e vi ha costruito uno spazio dove è possibile la redenzione dai propri errori, un Eden a cui si è riammessi nonostante il peccato originale, un recinto in cui gli otto White Sox sono finalmente liberati dal "castigo eterno" a cui erano stati relegati (la squalifica in questo mondo e -si suppone- una sorta di inferno nell'altro) e possono vivere una nuova esistenza nella pienezza del gioco. Un Paradiso che di colpo non è più racconto, mito, ma diventa una realtà, un luogo concreto su questa terra: "Is this Heaven?", chiede a un certo punto Shoeless Joe a Ray, e questi gli risponde: "No, it's Iowa".

Se le suggestioni religiose nel romanzo appaiono ovvie, è anche vero che Kinsella oppone la sua fede laica nel "grande dio Baseball" (sono le parole di Ray) alle religioni istituzionali, da lui viste come un sistema rigido di credenze e regole incapaci di liberare l'uomo, rappresentate dai parenti bigotti di sua moglie Annie, chiusi nei propri pregiudizi, ciechi alla magia che si svolge sul campo. Ma Kinsella è felicemente ambiguo nel proprio discorso e non rende esplicite tutte le implicazioni della sua "fede" nel baseball. Non ci dice che cosa ci sia al di là del muro del fuoricampo, non chiarisce i meccanismi (fisici o metafisici) che rendono possibile la magia. Di chi è la voce che a più riprese si ode dall'alto? Chi e perché ha scelto proprio quel luogo e quelle persone per compiere il miracolo del campo?

Anche se assistiamo ai "riti" del baseball (le partite, o il lungo discorso-sermone di Eddie Scissons, che nel libro occupa varie pagine ma che è stato tagliato nella versione cinematografica del romanzo), a noi non è dato conoscere, non è dato vedere oltre l'evidenza fisica del campo e dei suoi giocatori. È un privilegio che invece verrà concesso a Jerome Salinger, il personaggio la cui inclusione nella trama è sicuramente uno dei punti forti del romanzo di Kinsella. Come è noto, Salinger è l'autore reale di  The Catcher in The Rye (1951, in italiano Il giovane Holden), lo scrittore che per decenni è vissuto isolato dal resto del mondo fino alla sua morte, avvenuta nel 2010. Nel momento in cui Kinsella compone Shoeless Joe (1982), in qualche modo anche Salinger è una persona "scomparsa", un autore non più "presente" (anche se per una sua autoreclusione) che "solo" vive nei suoi scritti e nel ricordo dei suoi lettori. Ma in quanto scrittore, Salinger sa fermare il tempo, sa costruire narrazioni che, come abbiamo detto, costituiscono un'isola di senso e atemporalità, di gioco e felicità. Il personaggio Salinger è cosciente dei legami profondi esistenti fra letteratura e baseball: "Il baseball è una cerimonia, un rituale, nello stesso modo in cui il sacrificio di una capra alla luce delle luna piena è un rituale. Scrivere è un rituale, mi dicono, tante parole o tante pagine al giorno…". E dunque solo a Salinger, in quanto scrittore, è dato sapere: nell'ultimo capitolo del libro assistiamo alla sua seconda scomparsa, alla sua "estasi" ("The Rapture of J. D. Salinger") quando egli oltrepassa il muro del fuoricampo per unirsi (per sempre?) ai giocatori. Il baseball e la letteratura, due modi di trascendere il flusso del tempo in cui siamo immersi, si fondono e si perdono nel mistero ineffabile del campo di mais.

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Un vita spezzata in tre: venticinque anni a Roma (lanciatore e ricevitore in serie C), venticinque anni in Spagna (con il Sant Andreu, il Barcelona e il Sabadell, squadra di cui è stato anche tecnico, e come docente di Letteratura Comparata presso le università Autónoma de Barcelona e Extremadura), per approdare poi in terra umbra (come professore associato di Letteratura Spagnola presso l'Università di Perugia). Due grandi passioni: il baseball e la letteratura (se avesse scelto il calcio e l'odontoiatria adesso sarebbe ricco, ma è molto meglio così...).

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