La salvezza arriva al nono inning

Una bambina persa nel bosco, un pitcher carismatico, il baseball e i suoi insegnamenti: ecco gli ingredienti de "La bambina che amava Tom Gordon", il romanzo di terrore in cui Stephen King fa apparire i suoi amati Red Sox

Patricia Trisha McFarland è una bambina di nove anni. Da quando i suoi si sono separati vive con sua madre e suo fratello maggiore Peter in una cittadina del Maine. Quando Peter e la madre litigano, e succede spesso, la bambina cerca di isolarsi, di far finta di niente, e magari pensa a suo padre, che dopo la separazione è rimasto a vivere da solo a Boston, e alla passione che le ha trasmesso per la squadra di cui è tifoso, i Red Sox. Anche oggi che sono in gita fra i boschi del New Hampshire, Peter e sua madre si accapigliano nell'ennesima discussione. Trisha non sopporta le tensioni, e poco a poco rimane indietro sul sentiero che i tre stanno percorrendo. Decide di addentrarsi nel folto del bosco per fare un bisogno. È un attimo, e la piccola si rende conto all'improvviso di aver perso l'orientamento e di non saper più tornare indietro. E laggiù, nel buio del bosco c'è qualcuno -o qualcosa- che la osserva con le peggiori intenzioni.

Comincia così il romanzo di Stephen King The Girl Who Loved Tom Gordon (1999, in italiano La bambina che amava Tom Gordon, Sperling&Kupfer), nella cui trama si ricongiungono vari motivi narrativi. C'è anzitutto il riferimento facilmente riconoscibile a favole tradizionali come Hansel e Gretel o Pollicino che hanno per protagonisti dei bambini che si perdono nei boschi: Trisha si allontana dalla famiglia, dalla società "civile" (l'ambiente domestico, il villaggio), per ritrovarsi in pericolo di vita quando si imbatte in una variante dell'Orco o della Strega delle favole. Ecco quindi affiorare il motivo del mostro occulto e minaccioso, di una presenza all'inizio non facilmente definibile – forse proiezione delle nostre paure più profonde e ancestrali- che poco a poco prima inquieta e poi terrorizza i personaggi (e i lettori) colpendoli in maniera sconvolgente, motivo già apparso in It (1986) e in altri romanzi di King.

Ma c'è anche la ripresa del tema del viaggio e del ritorno a casa, tema legato -come abbiamo visto- alla struttura narrativa intrinseca del baseball.  E qui sta la maggiore peculiarità del libro, perché per l'appunto King costruisce la narrazione dell'estenuante e pericoloso cammino di Trisha nel bosco ricalcando lo schema di una partita di baseball. Così, il primo capitolo in cui viene introdotta la situazione iniziale (l'antefatto famigliare e l'arrivo sul sentiero per la gita) si intitola Pregame (come la sezione iniziale del classico The Natural di Malamud), mentre il resto dei capitoli si chiamano First Inning, Second Inning, ecc. (capitoli a volte sdoppiati e suddivisi in Top e Bottom). Non si tratta solo di un facile espediente utile a scandire la sequenza degli episodi, o magari di un furbo ammiccamento verso il lettore-tifoso, perché col passare delle pagine intuiamo che King vede soprattutto nel baseball -nella sua logica interna, nelle sue norme comportamentali, nei suoi insegnamenti etici e morali- una guida per l'individuo fra le difficoltà della vita. D'altronde, quest'esposizione della verità profonda  del gioco e della sua funzione didattica è annunciata sin dalla dedica iniziale: "A mio figlio Owen, che ha finito con l'insegnarmi sul gioco del baseball molto di più di quanto io abbia insegnato a lui". Il bambino finisce con l'insegnare all'adulto.

Anche Trisha ha un maestro, una guida che le indicherà il modo per sopravvivere alla sua odissea. Nello zainetto che porta sulle spalle la bambina ha un walkman con radio incorporata che le permette di ascoltare in diretta le partite dei Red Sox e di seguire le gesta di Tom Flash Gordon, il pitcher di cui sempre le parlava suo padre. Al tempo della scrittura del romanzo, Tom Gordon era un idolo dei tifosi della squadra di Boston. Dal 1996 al 1999 era stato il miglior closer dei Red Sox, stabilendo il record di salvezze in un unico campionato (46, nel 1998) e di salvezze consecutive (54, a cavallo fra il '98 e il '99) prima di infortunarsi al braccio, passare ai Cubs nel 2000 e giocare in altre squadre (l'ultima gli Arizona Diamondbacks) fino al ritiro, avvenuto lo scorso anno.

La notte, circondata dalle zanzare e dai sinistri rumori del bosco, affamata, sporca e ferita, accucciata sotto un cespuglio prima di addormentarsi, Trisha accende il walkman e ascolta le voci dei radiocronisti Jerry Trupiano e Joe Castiglione che raccontano le partite lancio a lancio. E quando a Fenway Park i Red Sox sono in vantaggio e a pochi innings dalla fine Tom Gordon sale sul monte per chiudere la partita, lassù nel bosco sugli Appalachi la piccola tifosa pensa: "If we win, if Tom gets the save, I'll be saved". Se la squadra vince, se Tom ottiene la salvezza, anche lei si salverà. Qui i termini tecnici del gioco acquistano immediatamente un valore metaforico ed esistenziale. La salvezza –save–  non consiste solo nel portare a buon porto la partita ma anche nel vincere la posta in palio della vita, in un mondo che "ha i denti e può morderti quando vuole".  

Così Trisha si aggrappa al ricordo della figura del giocatore -di cui porta indosso la maglietta numero 36- e la prende ad esempio per cercare di sopravvivere. Suo padre diceva sempre che Gordon sapeva essere freddo e lucido proprio nei momenti difficili della partita ("He's got icewater in his veins"). Ma quando la febbre comincia ad attaccare il corpicino indebolito della piccola, è lo stesso Tom Gordon ad apparirle in un delirio in cui realtà e visioni si confondono. E lei non perde l'occasione di rivolgersi al giocatore e di chiedergli: "Come fai a vincere? Qual'è il segreto della salvezza?" E Tom le risponde: "Devi provare ad andare in vantaggio sul primo battitore. Lo devi sfidare con quel primo lancio, lanciargli uno strike che non possa battere. Lui si presenta alla battuta pensando: ‘io sono meglio di questo tizio'. E tu quell'idea gliela devi togliere dalla testa senza aspettare. È meglio farlo subito. Il segreto dell salvezza sta nello stabilire chi dei due è il migliore". Trisha fa tesoro dei consigli di Tom e mentre continua ad avanzare fra gli alberi e i rovi capisce che le serviranno quando arriverà il momento di affrontare il mostro, la "cosa" di cui lei intuisce la presenza nel frusciare dei rami, negli animali sventrati che incontra sul sentiero, un essere che da giorni la segue e la osserva in silenzio.

La speranza è che la trama abbia una logica, che oltre al Male ci sia anche un Bene che con la sua mano misteriosa governi il corso degli eventi.  E allora Trisha chiede anche a Tom perché dopo una vittoria alza sempre un braccio e indica il cielo. "I point because it's God's nature to come on in the bottom of the ninth", è la risposta. Perché Dio interviene nella seconda metà dell'ultimo inning.  Con questo bagaglio la bambina si avvia verso l'incontro finale con l'entità misteriosa, l'ultimo battitore da mettere strike out per poter chiudere la partita, finire il viaggio e tornare salva a casa.

Informazioni su Luigi Giuliani 103 Articoli
Un vita spezzata in tre: venticinque anni a Roma (lanciatore e ricevitore in serie C), venticinque anni in Spagna (con il Sant Andreu, il Barcelona e il Sabadell, squadra di cui è stato anche tecnico, e come docente di Letteratura Comparata presso le università Autónoma de Barcelona e Extremadura), per approdare poi in terra umbra (come professore associato di Letteratura Spagnola presso l'Università di Perugia). Due grandi passioni: il baseball e la letteratura (se avesse scelto il calcio e l'odontoiatria adesso sarebbe ricco, ma è molto meglio così...).

Commenta per primo

Rispondi

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.