Il baseball come il rock?

Funziona allo stesso modo la memoria? Sono riflessioni che vengono alla mente in un week end di lavoro che inizia venerdì e finisce domenica sera

Verso la fine di un week end di full immersion nel baseball iniziato attorno alle 18.30 di venerdì e concluso alle 19.30 di domenica, mi sono accorto che sul sito federale avevo scritto che i recuperi di domenica 18 luglio erano stati tutti disputati. Sarà stata la voglia di sole, ma il fatto di aver confuso aprile con luglio mi ha fatto pensare. Evidentemente, anche un cronista itinerante arriva alla saturazione da baseball ed inizia a prendere lucciole per lanterne. Vi ringrazio comunque per non avermelo fatto notare.

Che il baseball sia per me ormai una malattia incurabile lo dimostra il fatto che al baseball pensavo durante la proiezione di “The Company”, film di Robert Altman (uno dei miei registi preferiti, se vi interessa) che è dedicato al balletto.
Cosa c'entra il balletto col baseball? Niente, direi. Col baseball c'entra una frase che il personaggio intepretato dal luciferino Malcom Mc Dowell (il capo della compagnia, un ex ballerino di origine italiana) pronuncia ad un certo punto rivolto a tutti i ballerini della compagnia: “Siete tutti così bellini…io detesto i bellini. Mi piace vedere il sudore, la fatica…beh, però siete bravi. Voglio bene a tutti”.
Quante volte avrei trovato adeguata una frase del genere a bordo di un campo da baseball italiano…
L'inquietante riflessione del film è anche questa: vale la pena sacrificare una vita “normale” al balletto? Ma Altman si sarebbe potuto chiedere se vale la pena sacrificare se stessi ad un ideale, al lavoro, ad una donna…anche al baseball…Inquietante, eh?

Dichiaro di aver definitivamente perso la battaglia sull'uso del termine “oriundo”.
Avevo avuto dei sospetti a Panama quando un nippo giapponese mi si è avvicinato chiedendomi cosa significava “oriungi”. E' stato un colpo duro constatare come gli italo americani si auto definiscano 'oriundi' (“ohyoundee”, per essere più precisi) così come accade agli italo venezuelani (che almeno scrivono e pronunciano la parola più o meno come noi). Ma ho definitivamente alzato bandiera bianca quando è stata un'inviata della televisione giapponese NTV a chiedermi se era vero che nella nazionale italiana giocavano alcuni “oliundi” e che cosa significava esattamente quella parola.

Negli scorsi giorni ho festeggiato i 50 anni del rock and roll, genere musicale del quale si data l'origine al 1954 e alla canzone “Rock around the clock” di 'Bill Haley and the Comets'.
Il rock ha 50 anni e certamente non è più un genere musicale “di trasgressione”. Chi aveva 20 anni nel 1954 (e forse trovava trasgressivo ascoltare 'rock around the clock') oggi di anni ne festeggia 70. Ai concerti si vede sempre più gente attempata. Nonostante questo, è innegabile che il rock sia nato come la musica 'dei giovani' e tale resti.
Le canzoni che si ascoltano a 20 anni hanno un sapore speciale. Si leggono e rileggono i testi, si legano le canzoni a situazioni particolari. E quelle canzoni restano “le canzoni” per sempre.
Chi ha 20 anni oggi probabilmente non conosce un disco che io ho 'consumato' nel 1983 e che si intitola “Soul Mining”. L'autore, Matt Johnson, si faceva chiamare “The The”. Chi ha 20 anni oggi non lo chiamerebbe nemmeno 'disco', bensì 'cd'.
Eppure il rock è ciclico. Lou Reed e i Velvet Underground non è che scrivessero canzoni molto diverse da quelle dei Nirvana (e secondo me l'attacco di “Smells like teen spirit” E' il rock), eppure chi ha i poster di Cobain in camera considera Lou Reed quasi di certo un fossile. “Revolver” dei Beatles sarebbe potuto uscire come disco dei Jam 15 anni dopo e “Sound Affects” dei Jam (1980) potrebbe uscire oggi come disco firmato dagli Oasis. Perchè una cosa che manca al rock è certamente la memoria.

Trovo che il rock assomigli al baseball. Anche per la mancanza di memoria. O meglio: per il tipo di memoria che è insita nel movimento. Gli appassionati di questo sport hanno visto alcune partite che restano “le partite” e alcuni giocatori che restano “i giocatori”.
A me nel 1983 le cose non andavano necessariamente meglio di ora. E' solo che avevo 20 anni e “tutta la vita davanti”. Ora ne ho 40 e un pezzo me lo sono giocato. Un po' di nostalgia forse ci sta. Il film 'Fandango' rivelò Lawrence Kasdan, regista certamente rock (e lo dimostano le sue colonne sonore) e un concetto nuovo per le generazioni giovani: la nostalgia non è legata per forza all'età della pensione.
Parlando di baseball, io non credo che negli anni '70 si giocasse meglio di adesso. E, con tutto il rispetto, non penso nemmeno che “i giocatori” primeggerebbero oggi come facevano allora. E' l'atmosfera di quei giorni che ci manca. L'atmosfera dei campi da baseball.
Si stava bene, nei campi da baseball. Forse anche perchè fuori c'era un'Italia che non ci piaceva tanto. Quella dell' “austerity” (con Tony Santagata che consigliava di utilizzare l'asino come mezzo di trasporto), che sarebbe diventata quella degli anni di Piombo.

Credo che anche il baseball, come il rock, sia ciclico. E spero che questi primi anni del terzo millennio saranno ricordati come quelli che hanno invertito il ciclo negativo. Anzi, ne sono convinto.

Informazioni su Riccardo Schiroli 1199 Articoli
Nato nel 1963, Riccardo Schiroli è giornalista professionista dal 2000. E' nato a Parma, dove tutt'ora vive, da un padre originario di Nettuno. Con questa premessa, non poteva che avvicinarsi alla professione che attraverso il baseball. Dal 1984 inizia a collaborare a Radio Emilia di Parma, poi passa alla neonata Onda Emilia. Cresce assieme alla radio, della quale diventa responsabile dei servizi sportivi 5 anni dopo e dei servizi giornalistici nel 1994. Collabora a Tuttobaseball, alla Gazzetta di Parma e a La Tribuna di Parma. Nel 1996 diventa redattore capo del TG di Teleducato e nel 2000 viene incaricato di fondare la televisione gemella a Piacenza. Durante la presentazione del campionato di baseball 2000 a Milano, incontra Alessandro Labanti e scopre le potenzialità del web. Inizia di lì a poco la travolgente avventura di Baseball.it. Inizia anche una collaborazione con la rivista Baseball America. Nell'autunno del 2001 conosce Riccardo Fraccari, futuro presidente della FIBS. Nel gennaio del 2002 è chiamato a far parte, assieme a Maurizio Caldarelli, dell'Ufficio Stampa FIBS. Inizia un'avventura che si concluderà nel 2016 e che lo porterà a ricoprire il ruolo di responsabile comunicazione FIBS e di presidente della Commissione Media della Confederazione Europea (CEB). Ha collaborato alle telecronache di baseball e softball di Rai Sport dal 2010 al 2016. Per la FIBS ha coordinato la pubblicazione di ‘Un Diamante Azzurro’, libro sulla storia del baseball e del softball in Italia, l’instant book sul Mondiale 2009, la pubblicazione sui 10 anni dell’Accademia di Tirrenia e la biografia di Bruno Beneck a 100 anni dalla nascita. Dopo essere stato consulente dal 2009 al 2013 della Federazione Internazionale Baseball (IBAF), dal giugno 2017 è parte del Dipartimento Media della Confederazione Mondiale Baseball Softball (WBSC). Per IBAF e WBSC ha curato le due edizioni (2011, 2018) di "The Game We Love", la storia del baseball e del softball internazionali.

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