Los Angeles e i suoi stranieri

Nello spogliatoio dei Dodgers conosciamo l'italo venezuelano Giovanni Carrara e l'australiano Luke Prokopec

Che incarico pesante. Mi hanno inviata nello spogliatoio degli arci nemici dei miei Giants, i terribili Dodgers di Los Angeles.
Apro la porta e trattengo il respiro: ce la farò? Riuscirò a parlare con qualcuno che indossa la divisa dei Dodgers? A ben pensarci, adesso che faccio parte della stampa, il tifo lo devo lasciar fuori dalla porta….

Entro e mi guardano tutti. Non ci sono molte donne tra i giornalisti accreditati e per i giocatori sono sempre una curiosità. Sorrido e saluto tutti.
Molte sono facce conosciute, ma io cerco 2 giocatori in particolari. Si tratta di 2 stranieri, che possono fornire una prospettiva diversa di cosa vuol dire giocare nelle Grandi Leghe.
Da una parte della stanza ci sono tutti i lanciatori e i miei uomini sono lanciatori; uno è l’italo venezuelano Giovanni Carrara (nella foto), che ha preso il posto di Kevin Brown dopo l’infortunio della ‘star’. Ha lanciato da partente e adesso è uno dei principali rilievi dei Dodgers. L’altro è Luke Prokopec, il fenomeno australiano.

Luke sta leggendo lo sport sul giornale locale. Mi avvicino e gli chiedo se ha tempo per parlare. Alza lo sguardo dal giornale e dice Certo.
Non c’è una sedia vicino al suo armadietto, così mi siedo per terra e inizio a prendere appunti. Dopo essermi presentata, gli dico che gli porto i saluti da casa. Sono stata in contatto con Toni Bush, ‘responsabile stampa’ della Lega Australiana, e mi ha detto di salutarlo. Mi ha detto anche di fargli sapere che sono tutti esaltati per le sue prestazioni nelle ‘Majors’.
Luke mi fa un gran sorriso e mi ringrazia. Si capisce che queste parole sono importanti per lui. Non deve essere facile vivere così lontani da casa e dagli affetti.
Luke, cosa si prova a giocare nelle ‘Majors? E’ bellissimo esclama E’ quello che uno sogna da piccolo. Io sono cresciuto in un paese di 8.200 abitanti, dove non si gioca a baseball seriamente. Ho iniziato da una lega di T-ball e poi sono passato alla ‘Pee Wee’ (la differenza è che nella T-ball non esiste il lanciatore, n.d.t.). Oggi in quelle leghe giocano centinaia di bambini.
Luke sembra inarrestabile: Nella Pee Wee ho giocato tra gli 11 e i 13 anni. Si cominciava a giocare alla mattina alle 8.30 e si andava avanti tutto il giorno. Mia mamma e mia sorella giocavano a softball e iniziavano il pomeriggio dopo le 4. Così io rimanevo in zona e giocavo anche con loro. Quando avevo 13 anni e mezzo ogni sabato mi facevo 4 ore e mezzo di corriera per andare a giocare in un’altra città. Alla fine con i miei amici andavamo a vedere le partite dei grandi. La domenica rifacevo il viaggio in pullman.
Che impegno! Incredibile, una volontà del genere ad un’età così giovane.
Luke Prokopec ha firmato con i Dodgers e nel 2000 è stato nominato ‘lanciatore del mese’ della loro organizzazione sia ad aprile che a maggio. Poteva partecipare alle Olimpiadi di Sydney, ma ha preferito giocare in Grande Lega.
Deve essere stata una decisione difficile… Temevo che la stampa fosse dura con me, per aver scelto di giocare con i Dodgers e non di rappresentare il mio paese alle Olimpiadi. Avevo anche paura del commento della gente. Ma tutti quelli con cui ho parlato hanno detto che ho fatto la scelta giusta. In effetti, giocare a questi livelli è un sogno che diventa realtà. Certo, la decisione è stata difficile, ma non mi pento. Ho giocato 6 anni nelle ‘Minors’, ho giocato esterno e catcher. Questa era la mia possibilità e me la sono giocata. Arrivare alle ‘Majors’ è l’obbiettivo di chiunque giochi a baseball.
Luke indossa la maglia dei Dodgers ed è a San Francisco per affrontare i Giants. Sei conscio della rivalità che c’è tra le 2 squadre? Certo, lo sanno tutti. E’ bello affrontarli, venire qui per vincere. Queste rivalità ci sono anche in Australia. Ogni volta che South Australia affronta Victoria si vedono delle belle partite. E succede in tutti gli sport. La rivalità va oltre: se deve trasferirsi, un nativo della regione South Australia non sceglierà mai Victoria e viceversa.
Sorprendente, neanche noi americani siamo così estremisti!
Saluto e ringrazio Luke, augurandogli le migliori fortune per il resto della stagione. Non sa di preciso quando lancerà ancora, perché l’ultima volta che ha giocato ha avuto delle vesciche sulle dita e non le ha ancora assorbite.

Di fronte all’armadietto successiva è seduto Giovanni Carrara. Mi avvicino e gli chiedo se ha tempo per parlare. Ma certo risponde gentilissimo.
Giovanni Carrara, 33 anni, è nato ad Edo Anzuategui in Venezuela. Ma dal suo nome si capisce che la sua origine è Italiana.
Infatti suo padre era di Napoli. E’ morto nel 1998 proprio in Italia, durante una visita ai parenti.
Gli faccio le condoglianze. Ti ha mai visto giocare in Grande Lega? Certo, mi ha visto lanciare. Ho giocato per Toronto e Colorado, prima di firmare con i Dodgers.
Tutti i fratelli e le sorelle di Giovanni sono stati in Italia. Lui ancora no: Voglio davvero andare in Italia per conoscere la famiglia di mio padre. Nessuno dei parenti che ho là mi ha mai visto.
Gli chiedo della sua carriera di giocatore Ho iniziato a giocare a 6 anni. I miei genitori mi hanno sempre appoggiato. Se dovevo iniziare la partita alle 10, alle 6 ero già pronto e in divisa. Non vedevo l’ora di giocare! I Cubs di Chicago mi hanno offerto un contratto quando avevo 17 anni. Al primo anno mi sono fatto male al gomito e sono tornato a casa. Per 3 anni non ho giocato e ho pensato di smettere. Ma mia mamma mi ha convinto ad insistere e sono tornato professionista a Toronto. Da allora ho sempre giocato nelle ‘Majors’. Per la cronaca, Giovanni ha esordito nelle Grandi Leghe il 29 luglio 1995 con i Toronto Blue Jays, vincendo contro Oakland. Lo stesso anno ha lanciato una gara completa il 14 agosto, perdendo contro Texas. Nel 1998 ha vinto la ‘Pacific League’ giapponese con i Seibu Lions.
Come si vive lontano da casa? E’ dura. Ma c’è mia moglie con me. L’organizzazione dei Dodgers mi tratta molto bene e mi trovo molto bene con la squadra. A fine campionato vado a casa, per giocare il campionato invernale in Venezuela. Se arriviamo ai play off, il campionato finisce la prima settimana di febbraio. E una settimana dopo inizia lo Spring Training.
Insomma, hai il baseball nel sangue…Morirei, se non potessi andare in campo a giocare. Quando smetterò, voglio senza dubbio diventare allenatore. Non voglio lasciare il baseball per nessuna ragione. Mai. Sappiamo cosa vuol dire, eh?
Cosa consiglieresti ai ragazzini italiani? Disciplina. Preparatevi per essere concentrati in partita, ci sono molti fattori con cui fare i conti. Ci sono molte distrazioni…state lontani dalla droga. Quando vedo dei ragazzi che fanno uso di droghe, trovo che sia molto brutto. E poi è necessario l’impegno. Fate attenzione agli allenatori. Ascoltateli. Ricordatevi che nel baseball bisogna lavorare duro e che non basta mettersi in divisa, per essere un giocatore.

Abbiamo conosciuto 2 ragazzi che sono l’esempio di come il lavoro duro paghi sempre. Ci hanno mostrato tutto il loro amore per il baseball. Buona fortuna Luke, buona fortuna Giovanni. Siete da ammirare.

traduzione di Riccardo Schiroli

Informazioni su claire 65 Articoli
Claire Matthew è nata e cresciuta nella 'Marin County', poche miglia a nord di S. Francisco.Da bambina ha osservato a 'Candlestick Park' i vari Willie Mays, Willie Mc Covey e Juan Marishal esibirsi con la maglia dei San Francisco Giants. Così, dalla più tenera età, si è innamorata del baseball e ha iniziato a scambiare figurine con i suoi fratelli Chris e Paul.Successivamente il baseball è diventato una professione. Per 5 anni ha lavorato proprio per i Giants come 'coordinatrice degli eventi promozionali' presso l'ufficio 'vendita biglietti'.Il suo secondo amore sono le gare automobilistiche. Claire è stata coinvolta in competizioni di ogni livello, lavorando per diverse 'scuderie' come addetta alle pubbliche relazioni e alle sponsorizzazioni.Oggi è una libera professionista nel settore delle pubbliche relazioni. Il suo ufficio è a Greenbrae, nella California del nord. E' specializzata nell'organizzare eventi per la raccolta di fondi e nell'ottenere spazi sui media per le organizzazioni coinvolte negli eventi.E' la madre 'single' di Alison (20 anni) e Rhianna (19).

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