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Ralph Branca e il il colpo che “sconvolse” il mondo

Ralph Branca era un figlio di Brooklyn. E poco conta se non era nato nelle strade trafficate e multi culturali del quartiere adottivo, ma nel più residenziale agglomerato di Mount Vernon a nord del Bronx. Il lanciatore dei Dodgers sembrava fatto e finito per giocare nella squadra più amata e sfortunata della grande mela. Suo padre, infatti, di origini italiane, faceva il conducente di tram e il nickname della squadra di baseball, "schivatori" appunto, veniva proprio dall'abitudine e bravura che gli abitanti del luogo avevano nell'evitare di farsi investire dai vagoni. Il quindicesimo di ben diciassette figli, Ralph Branca era fisicamente molto dotato, alto più di un metro e novanta. Cosa che gli tornò parecchio utile quando cominciò a fare il lanciatore. E fu un talento precoce, tanto che venne notato dai Dodgers, e messo sotto contratto a soli 17 anni, mentre frequentava ancora la New York University.
Esordì giovanissimo nel 1944, neanche maggiorenne, approfittando probabilmente della penuria di giocatori validi dovuta al conflitto mondiale, ma facendo intravedere un gran potenziale fin da subito. Branca arrivò alla consacrazione a soli 21 anni nel 1947 con una annata straordinaria in cui ottiene 21 vittorie e una media PGL di appena 2.67, impreziosita dalla sua prima partecipazione all'All Star Game.
Che per Branca quella stagione sarebbe stata memorabile però, fu chiaro fin dal primo giorno, da quando cioè il giovane lanciatore ebbe il coraggio di scendere in campo per primo per dare sostegno al suo prima base di colore Jackie Robinson. Dimostrando tanto al pubblico sugli spalti, quanto ai suoi compagni, che non c'era nulla di strano che un uomo di colore giocasse a baseball. Si trattava in fondo sempre e solo di correre, lanciare e colpire la pallina.
Il resto della carriera di Branca non fu altrettanto fortunato o glorioso, problemi alla schiena e al braccio ne minarono l'efficacia, costringendolo al ritiro a soli 28 anni. Oltretutto l'evento che più ha determinato la sua notorietà non è una sua vittoria, quanto piuttosto una sua sconfitta. Nel 1951, durante il decisivo spareggio contro i Giants che avrebbe dovuto determinare l'avversario degli Yankees nelle World Series, il lanciatore italo-americano era sul monte quando Bobby Thomson scagliò la pallina oltre la recinzione, battendo un vittorioso fuori campo. Fu "the shot heard around the world", la battuta che sconvolse il mondo. Ed in qualche modo fu proprio così perché quella partita, fu la prima ad essere trasmessa in diretta televisiva nazionale. Il possente "toc" della battuta dell'esterno che aggiudicò la vittoria e il passaggio alle finali dei Giants, venne amplificata e ritrasmessa dagli innumerevoli schermi che stavano seguendo simultaneamente quella partita in tutto il paese e non solo visto che molti militari americani impegnati in Korea erano sintonizzati sulla partita per sentire meno la nostalgia di casa.
Quel fuoricampo fu in realtà, come lo stesso Branca ammise, la cosa migliore che gli potesse capitare, perché non solo il lanciatore e Thomson divennero buoni amici dopo quel fatidico giorno, ma i due furono capaci di capitalizzare la loro improvvisa e straordinaria notorietà, con comparsate e cammeo vari, sia in televisione, che in radio che al cinema.
Nella novella Pafko At The Wall e nel suo voluminoso romanzo Underworld Don DeLillo omaggia e racconta a suo modo quel giorno. Testimoniando che in qualche modo, in quel momento, con quella battuta, gli Stati Uniti erano cambiati. Finita l'epoca degli eroi mitici e fatti di parole stampate sulla carta, largo a quelli in carne ed ossa visibili sullo schermo. Ralph Branca, anche se dal lato degli sconfitti, si trovò dunque al centro della Storia ed anche per questo è stato ammesso nella Italian American Hall of Fame, insieme ai fratelli Di Maggio e a Vince Lombardi, che certo hanno avuto destini sportivi diversi.
Forse un finale più degno sarebbe stato vederlo festeggiare assieme ai suoi compagni Robinson e Reese, Campanella e Newcombe, alzare il massimo trofeo al cielo e portarlo a per la prima e unica volta Brooklyn nel 1955. Ma quella storia evidentemente non era la sua storia. Il destino beffardo aveva riservato per Branca un epilogo in sordina, visto che aveva lasciato il baseball giocato proprio un anno prima di quella unica vittoria.
Nonostante questo finale poco hollywoodiano, Ralph Branca resta nell'immaginario dei tifosi dei Brooklyn Dodgers, e non solo, per aver fatto parte di quel gruppo, i Boys of Summer celebrati da Roger Khan nel suo libro. Le origini, la carriera e la vita di Branca incarnano perfettamente lo spirito multiculturale, operaio e appassionato che Brooklyn aveva e ha e che Manhattan (dove giocavano i Giants), e il Bronx (dove tutt'ora dimorano gli Yankees) non possono che invidiare.

 

Devor de Pascalis

Devor de Pascalis è scrittore e sceneggiatore di cinema e TV. Nato a Roma nel 1976, si innamora perdutamente del baseball nell'inverno nel 1986 quando la mamma americana lo porta a trovare lo zio di Brooklyn, grande tifoso dei Dodgers (quelli di Pee Wee Reese e Roy Campanella, per intenderci). Tornato in Italia impara le regole del gioco grazie al Nintendo e a Bases Loaded 2, segue la MLB trafugando copie di USA Today dall'ambasciata americana, si invaghisce della protagonista dell'anime "Pat la ragazza del Baseball" e si mette a giocare nella Roma come "centro panchina". Sviluppa negli anni una passione malsana per le statistiche, che ritiene il personale rimedio al logorio della vita moderna, e tifa da sempre New York Mets perché non gli è mai piaciuto vincere facile. Ancora oggi ricopre con un certo successo il ruolo di "centro panchina" nella squadra amatoriale di softball del Green Hill.

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