Giuseppe Mazzanti, la quinta è quella buona

Quando si è impennato quel foul diretto sulla terza base è stato un po' come un deja vu, perlomeno per molti nettunesi. Ancora una volta una maledizione, perché di questa sino a ieri si trattava, è stata chiusa a Rimini e con un giocatore di Nettuno protagonista. Nel '90 la formazione tirrenica riportò lo scudetto a casa dopo 17 anni di digiuno in una drammatica garasette, e ad effettuare l'ultimo eliminato fu Guglielmo Trinci, che raccolse al volo un insidioso foul di Gaiardo sulla prima base.

Venticinque anni dopo Giuseppe Mazzanti all'eta di 32 anni rompe un'altra maledizione, la sua personale, quella di non aver ancora vinto uno scudetto in carriera.

Il suo salto di gioia con la palla salda nel guanto, immortalato dai fotografi, vale più di mille parole che si possono scrivere per “The Natural”, soprannome che gli ha affibbiato molti anni orsono proprio chi sta scrivendo adesso. Alla fine è arrivato questo scudetto, e meno male perché la sua maledizione è stata quella di aver preso parte a qualcosa come quattro finali scudetto perse, tutte a garasette.

“Reverse The Curse”, sarebbe venuto voglia di dire, come inneggiavano i tifosi dei Red Sox prima della storica vittoria del 2004 e come farebbero bene a fare anche quelli dei Cubs. Nel 2007 contro il Grosseto, nel 2008 e nel 2011 contro il San Marino, quindi lo scorso anno dopo il trasferimento a Rimini la serie persa contro il Bologna, sempre all'ultimo decisivo scontro. La quinta sarebbe stata troppa per chiunque, ma tanto per evitare rischi la finale si è chiusa 4 a 0 e non c'è stato più bisogno di andare in campo in una partita senza domani, con quella “scimmia” sulle spalle.

Era ora, allora è vero che la quinta è quella buona”, ci dice con un filo di voce praticamente appena sveglio, dopo i festeggiamenti di rito. “Quando ho perso anche la finale del 2014, la quarta a garasette, ho pensato che forse era proprio destino e mai avrei vinto un titolo italiano, l'unico che mi mancava a livello personale”.

E invece, ripetendo la stagione passata, Rimini si qualifica di nuovo per l'Italian Baseball Series. “Non potevo proprio farmela scappare, pensando anche al fatto che è difficile arrivarci e che magari non ci sarebbe stata più la possibilità. Ora o mai più”.

Però il baseball è diverso dal calcio e da tanti altri sport. La voglia di vincere lì si tramuta in maggiore agonismo, maggiore corsa, maggiore sforzo fisico. Nel baseball è così solo in piccola parte, occorre rimanere freddi e concentrati anche quando la serie lunedì sera si era portata sul 3 a 0 per i romagnoli, con quattro match point di cui due in casa. Serviva un altro successo, non solo far scorrere il tempo sino al fischio finale. “Lunedì sera dopo il match veramente ho pensato che fosse arrivata la volta buona, in vantaggio per 3 a 0 potevamo perderla solamente noi. E dire che anche in questo caso il destino ci stava mettendo lo zampino, già lunedì ero acciaccato e con qualche accenno di influenza. Rischiavo di non scendere in campo e sarebbe stata una beffa per me, oltre che un danno per la squadra visto che eravamo con i giocatori contati”.

La quarta partita della serie col Bologna ha la sua fiammata nel finale, avanti comodamente c'era veramente da attendere le ultime sei eliminazioni. Soprattutto l'ultima, che come avevamo accennato sopra consegna il giocatore che la effettua al ruolo di icona. “Speravo che la pallina arrivasse a me, volevo chiuderla io come successe anche all'Europeo con la nazionale, feci io l'ultimo eliminato. Quando ho visto questo pop che si alzava ho urlato con quel poco di voce che mi era rimasto 'mia!', quasi cacciando in malo modo il ricevitore. Tra l'altro per lui era anche una palla difficile, io invece ce l'avevo di fronte”.

E poi? “E poi finalmente la mia maledizione si è dissolta. Adesso penso a trascorrere due-tre settimane di completo relax e poi tornerò ad allenarmi”. In vista del 2016? “Certo, anche se ancora non so cosa farò, si giocheranno tre partite a fine settimana e per me che devo spostarmi diventerebbe più difficile. Per questo che voglio dedicare il mio primo scudetto alla mia famiglia principalmente, mia moglie e mio figlio, ma anche ai miei genitori e soprattutto a mio padre Umberto, che mi ha sempre seguito. Poi ovviamente a tutti quelli che mi sono stati vicino in questi due anni a Rimini, e tra queste una persona che non c'è più purtroppo ma so che dall'alto ha sempre fatto il tifo per me, ed è mia cugina Monia Cardinali”.

Ed ai tifosi del Nettuno? “Speravo di vincere il mio primo titolo italiano nella mia città, ma per tanti motivi che è inutile ripetere non è stato possibile e non è stato possibile rimanere. Un pensiero va sicuramente anche a loro, a quelli che pur con un'altra casacca non hanno smesso sostenermi”.

Già, in tanti, in riva al Tirreno, hanno masticato amaro nel vedere in campo Grimaudo e Ambrosino da una parte, Mazzanti dall'altra, battagliare per lo scudetto mentre nella quasi totale indifferenza le due squadre della Città del Baseball si avviano verso una semifinale di Coppa Italia che si giocherà all'Acquacetosa di Roma. Senza che per ora si intraveda una soluzione comune e univoca per riportare Nettuno in alto, e possibilmente qualche giocatore a casa. Ma oggi è Giuseppe Mazzanti a gioire, e mai gioia fu tanto attesa. 

Mauro Cugola

Nato tre giorni prima del Natale del 1975, Mauro è laureato in Economia alla "Sapienza" di Roma, ma si fa chiamare "dottore" solo da chi gli sta realmente antipatico... Oltre a una lunga carriera giornalistica a livello locale e nazionale iniziata nel 1993, è anche un appassionato di sport "minori" come il rugby (ha giocato per tanti anni in serie C), lo slow pitch che pratica quando il tempo glielo permette, la corsa e il ciclismo. Cosa pensa del baseball ? "È una magica verità cosmica", come diceva Susan Sarandon, "ma con gli occhiali secondo me si arbitra male". La prima partita l'ha vista a quattro mesi di vita dalla carrozzina al vecchio stadio di Nettuno. Era la primavera del '76. E' cresciuto praticamente dentro il vecchio "Comunale" e, come ogni nettunese vero, il baseball ce l'ha nel sangue.

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