Galasso, l'uomo che ha fatto sognare Nettuno

L'inverno vissuto a Nettuno non è solo il mare imbronciato e le spiagge vuote. Rappresenta la stagione di mezzo, quella che porta dalla fine di un campionato all'inizio dell'altro. Ci si incontra con gli amici e si parla del più e del meno, spesso di politica, ancor più spesso di sport. Inevitabilmente di baseball. E si tirano fuori le storie, soprattutto le azioni trasformatisi in icone. La presa al volo in foul di Trinci a Rimini nel '90 che riportò il tricolore dopo 17 anni, il fuoricampo di Fernando Ricci nel '93 (ancora a Rimini), la valida di Barboni nel '96 a Parma. E manco a dirlo lui, Bob Galasso. Anche detto "Bobbe", il lanciatore che dopo 17 anni fu il vincente di quella drammatica garasette di Rimini.

Chiunque abbia avuto la fortuna di giocarci insieme o di conoscerlo, vi dirà che non solo è stato il miglior lanciatore con la casacca del Nettuno degli ultimi 20 anni, ma anche un grande campione in tutti i sensi. Come ha detto Roberto De Franceschi recentemente, uno che "ha cambiato la nostra mentalità". E dire che fu, dopo due tagli (o due "fughe") il terzo lanciatore di quella stagione appena iniziata. Bob Galasso, classe 1952, è oggi un sessantenne tranquillo che mai si aspettava il giorno del suo compleanno di ricevere tanti messaggi di auguri da Nettuno. Così, nata l'idea, ci si affida alla potenza dei social network per contattarlo. Un rapido scambio di messaggi, e via posta elettronica ha affidato in esclusiva a BASEBALL.IT i suoi pensieri e i suoi ricordi.

I PRIMI CONTATTI CON NETTUNO – Quando venni ingaggiato, mi venne a prendere Alberto De Carolis all'aeroporto per portarmi a vedere la partita contro il Firenze. Tutti i giocatori avevano scritto dietro le maglie Scac, così prima pensai che tutti si chiamassero con quel nome, poi realizzai che probabilmente era lo sponsor… Diventò un gioco, e così io ero solito chiamarli i "fratelli Scac". Quando arrivai Alberto e Giampiero (Faraone) mi chiesero di fargli vedere qualche lancio. Fu lì che incontrai per la prima volta Goffredo Danna, che tutt'oggi è un mio grandissimo amico. Il monte era quasi piatto e pensai che sarebbe stato duro dare una bella dimostrazione, considerato che arrivavo da 12 ore di volo. Lanciai male, infatti, e immaginai quale potesse essere stato il loro pensiero a vedere così il loro nuovo lanciatore che aveva 40 anni. La mia intenzione era rimanere, e la prima impressione che ebbi della squadra era che mi stavano "studiando", vedendo quale fosse la mia attitudine e il desiderio di aiutarli a vincere. Appurato questo, entrai a far parte del gruppo. In squadra c'era anche Jeff Ramson, e mi raccontò della stagione passata, dei play off persi e che "avrebbero vinto". La settimana successiva lanciai la prima partita contro Grosseto. Dissi al manager che avrei lanciato solamente cinque inning per entrare meglio in forma ed evitare infortuni, come negli spring training. Lui acconsentì, ma era evidente che si aspettasse di più. In quei cinque inning lanciai una no-hit, con molti strike out, e alla fine mi fermai al termine stabilito. La partita poi fu persa e i ragazzi dubitarono che fossi completamente immerso nella loro causa. Ma dopo quella lanciai molte partite complete guadagnandomi la fiducia della squadra. Da quel punto in poi le cose presero un'altra piega. Bagialemani mi diceva prima di ogni partita che "gli Scac Brothers giocheranno come animali dietro di te". E' corretto dire che giocarono come campioni ogni partita che lanciai, e senza quei grandi giocatori dietro di me nessuna vittoria sarebbe stata possibile. Non ci volle molto a capire che ero insieme ai migliori d'Italia in quel momento, e cominciai anche ad amare la città. Bellissima, come la gente, e anche se ero sposato posso dire di non aver mai visto prima tante belle donne tutte insieme. Le strade di Nettuno divennero la mia casa "lontano da casa" ed ero contento di prendere il caffè insieme ai ragazzi al bar del centro. C'era la netta sensazione che quella squadra avrebbe vinto.

IL CAMBIO DI MENTALITA' – Penso che il vedermi allenare con molta professionalità trasmise loro qualcosa. Trinci, Bagialemani, De Franceschi, Ubani, Barboni, D'Auria, Catanzani, Ciaramella… Tutti questi ragazzi erano giocatori molto forti che in America avrebbero sicuramente fatto parte delle minor leagues. Lo posso dire con certezza, ho giocato con gente negli Usa che non aveva il loro talento. La differenza la fa ovviamente il modo in cui è organizzato il sistema delle Minors. Inoltre ricordo che molti di loro lavoravano e giocavano, erano uomini cresciuti e maturi. Realizzai allora che ero arrivato in una situazione perfetta. I coach mi permisero poi di dire la mia sugli allenamenti, e lo facevano vedendomi lavorare duro durante la settimana. E mi ricordo ancora distintamente Alberto, Guglielmo o Ruggero battere con i guanti da lavoro per rinforzare le loro mani. Il mio compito però fu anche quello di cambiare atteggiamento. L'aver perso partite importanti, da come mi era stato riferito, secondo loro era dipeso da sfortuna ed errori. Cambiammo questa cosa, e battemmo nelle partite decisive per l'accesso alla finale il Grosseto con una rabbia mai vista. Ricordo che durante la stagione arrivammo a Ronchi dopo una gara contro il Verona. Il Grosseto era nello stesso hotel, ed i ragazzi erano silenziosi, come se non volessero svegliarli. Io dissi ad alta voce "spero che i giocatori del Grosseto vengano qui. Stiamo arrivando, il Nettuno sta arrivando a prendere il vostro titolo". Volevo che i miei giocatori rispettassero Grosseto, ma anche che fossero pronti a succedergli nello scudetto. Il secondo posto non era contemplato. La gara lanciata allo Iannella fu una di quelle di cui vado più orgoglioso, e quello che fece "Ciuco" (Claudio Taglienti, nda) il giorno dopo fu superbo. E dire che non fu l'unica volta che lanciò una grande partita per noi. Ancora ricordo gli occhi di Guglielmo Trinci quando vincemmo quelle partite. Quello sguardo, quel volto mi è rimasto impresso a vita. Da quel momento in poi eravamo ufficialmente gli "Scac Brothers".

Fine prima parte

(continua…)

Mauro Cugola

Nato tre giorni prima del Natale del 1975, Mauro è laureato in Economia alla "Sapienza" di Roma, ma si fa chiamare "dottore" solo da chi gli sta realmente antipatico... Oltre a una lunga carriera giornalistica a livello locale e nazionale iniziata nel 1993, è anche un appassionato di sport "minori" come il rugby (ha giocato per tanti anni in serie C), lo slow pitch che pratica quando il tempo glielo permette, la corsa e il ciclismo. Cosa pensa del baseball ? "È una magica verità cosmica", come diceva Susan Sarandon, "ma con gli occhiali secondo me si arbitra male". La prima partita l'ha vista a quattro mesi di vita dalla carrozzina al vecchio stadio di Nettuno. Era la primavera del '76. E' cresciuto praticamente dentro il vecchio "Comunale" e, come ogni nettunese vero, il baseball ce l'ha nel sangue.

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