Viaggio nel baseball del Michigan (terza parte)

Una partita di singolo A a Lansing, la capitale dello stato federato: gli spazi, il tempo, il gioco e il pubblico di una giornata di straordinaria normalità nel baseball delle Minor Leagues

Da Detroit arriviamo a Lansing, la capitale del Michigan, poco più di centomila abitanti -ma quattrocentomila nell'hinterland- e un downtown dallo skyline bassissimo. Niente grattacieli, il ritmo lento della vita di provincia indistinguibile da quello di migliaia di altri centri del Midwest. Eppure qui c'è il cuore dell'attività politica dello Stato, il grande Campidoglio dalla cupola neoclassica inaugurato nel 1879 che riunisce in un unico luogo i poteri legislativo, esecutivo e giudiziario: il Senato del Michigan, l'ufficio del Governatore e la Corte Suprema. L'università pubblica, la Michigan State University, è a East Lansing, l'estensione orientale della città, oltre le acque del Gran River. Nel campus sorprendono le forme dell'Eli and Edythe Broad Art Museum inaugurato da meno di un anno. Ma oggi abbiamo il baseball in programma, e così dopo la visita all'Università, al Museo e al Capitolio ci dirigiamo verso lo stadio.

Leggere la pianta di una città vuol dire anche individuare i valori culturali che una determinata società assegna allo spazio urbano. E scopriamo così che il campo da baseball è proprio nel cuore di Lansing, a pochi minuti a piedi dal Capitolio, un'ubicazione che dice molto sull'importanza del battiecorri per questa gente. La crisi dell'industria automobilistica, accentrata a Detroit ma di cui risente tutto il Michigan, ha lasciato il segno anche nella toponomastica: il campo inaugurato nel 1996 col nome di Oldsmobile Park dal 2010 ha cambiato sponsor e ora si chiama Cooley Law School Stadium. Ci giocano i Lansing Lugnuts (ecco di nuovo l'auto: i lug nuts sono le viti a testa cilindrica che servono a fissare le ruote al perno), del farm system dei Toronto Blue Jays, ultimi nella Eastern Division della Midwest League di Single A. Oggi affronteranno i penultimi in classifica, i West Michigan Whitecaps, appartenenti alla franchigia dei Tigers. Insomma, stiamo per assistere a una partita del livello più basso del baseball professionistico americano, e ti vien voglia di fare raffronti col baseball nostrano. Iniziamo proprio dallo stadio e dall'atmosfera che si vive sugli spalti.

La capienza del Cooley Law School Stadium http://cooleylawschoolstadium.com è di circa 7.500 posti. I sedili sono vere e proprie poltroncine, comodissime, con braccioli e portabicchieri. Il prezzo del biglietto varia dai 6 agli 11 dollari. All'interno ci sono negozi che vendono magliette, cappellini e gadget vari dei Lugnuts, ma soprattutto  una ventina di punti di ristoro dove oltre ai tradizionali hotdogs puoi trovare hamburgers, pizza, gelati, frullati, ma anche kebab e insalate varie. Un cartello avvisa che la vendita della birra alla spina è permessa solo fino al primo lancio del settimo inning.

Il campo misura 305 piedi ai lati (93 m), 412 piedi al centro (125 m). I tabelloni elettronici comprendono l'indicatore di velocità dei lanci e un maxischermo. Il pubblico non pare quello delle grandi occasioni: ci saranno poco più di mille spettatori (tutto sommato, non male per un mercoledì di agosto in cui si affrontano i due fanalini di coda della classifica). Numerosi gli adolescenti e le famiglie. Molti si conoscono, sembrano dei gruppi di amici, probabilmente sono degli abbonati con le poltroncine riservate. "Ah", pensi, "te l'immagini uno stadio così nella mia Roma?" Per un momento scatta il confronto con l'Acquacetosa, -difficile da raggiungere senza macchina, le tribune dalla struttura metallica- e affiora in te il ricordo vago di una promessa di uno stadio delle Major in città, mai costruito… ma è un pensiero che ricacci subito indietro: tutti in piedi per l'inno nazionale, cantato al microfono da una giovane bellezza locale.

Gli allenatori delle due squadre sono delle vecchie glorie delle Major: il manager dei Lugnuts è  John Tamargo, un carriera da catcher fra gli anni 70 e 80 con i Cardinals, i Giants e gli Expos; a dirigere i Whitecaps c'è invece il gigantesco Larry Parrish, ex terza base di Expos, Texas Rangers e Red Sox, un paio di anni in Giappone prima del ritiro definitivo negli anni 90.

Inizia la partita. Per i Lugnuts sul monte c'è Taylor Cole, 24 anni, buon controllo, una veloce intorno alle 90 miglia, curva, slider, cambio, sufficienti a lasciare a bocca asciutta i battitori avversari, che arriveranno per la prima volta in seconda solo al sesto inning. Il pitcher partente dei Whitecups è un gigante nero, Montreal Robertson, 23 anni, che inizia sfoderando un fastball da 98 miglia! Ma già dal secondo inning la velocità va in calo, il controllo diventa incerto, e soprattutto il repertorio dei lanci si rivela insufficiente. Ai primi cambi di velocità i battitori dei Lugnuts infieriscono. Finirà 9 a 3 per i padroni di casa, con un homer da tre punti del designato Kevin Patterson e una discreta performance in attacco e in difesa del prima base Jordan Leyland, figlio di Jim Leyland, attuale allenatore dei Tigers.

Il pubblico segue con attenzione, commenta le azioni (particolarmente criticati un paio di inspiegabili tentativi non riusciti di rubata dei Whitecaps con due out e il quarto del line-up nel box di battuta), ma il clima è disteso. Mi rendo conto che in realtà qui tutti tifano Tigers e che l'appoggio "naturale" alla squadra di casa non esclude una certa simpatia per i Whitecaps, che in fin dei conti fanno parte della franchigia di Detroit. Una serata tranquilla, passata vedendo giocare questi ragazzi che sognano le Major Leagues, con gli animatori che coinvolgono il pubblico in giochi e canzoni fra un inning e l'altro, l'allegria degli spettatori che sono riusciti ad acciuffare un foul ball sugli spalti, gli applausi per la squadra di casa, il sapore della birra e della mostarda dell'hotdog, le luci che si accendono man mano che il sole tramonta…

Esci dal Cooley Law School Stadium con gli occhi ancora pieni di ciò che hai visto, e ti domandi cosa potrebbe far tornare il pubblico sugli spalti degli stadi italiani. Vorresti che spuntassero come funghi dieci, cento, mille diamanti nelle periferie delle nostre città. Portare il baseball nella quotidianità della vita delle persone: ecco il sogno da realizzare. Ti giri di nuovo davanti ai cancelli, getti un ultimo sguardo sulla folla che abbandona il campo, e il pensiero vola di nuovo all'Italia: c'è tanto da fare, rimbocchiamoci tutti le maniche.

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Un vita spezzata in tre: venticinque anni a Roma (lanciatore e ricevitore in serie C), venticinque anni in Spagna (con il Sant Andreu, il Barcelona e il Sabadell, squadra di cui è stato anche tecnico, e come docente di Letteratura Comparata presso le università Autónoma de Barcelona e Extremadura), per approdare poi in terra umbra (come professore associato di Letteratura Spagnola presso l'Università di Perugia). Due grandi passioni: il baseball e la letteratura (se avesse scelto il calcio e l'odontoiatria adesso sarebbe ricco, ma è molto meglio così...).

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