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Il Baseball per combattere l'AIDS in Africa

Che il baseball sia stato spesso una via di uscita alla propria condizione sociale, un arma di riscatto individuale è storia nota.
Lou Gherig veniva da una famiglia poverissima. Babe Ruth sarebbe stato forse un qualsiasi piccolo teppista senza il suo immenso talento sul diamante. Joe di Maggio contribuì in maniera determinante al riscatto dell' immagine degli immigrati italiani. Ma le loro furono storie di singoli grandi personaggi.
Che il baseball potesse diventare una speranza, un progetto, un nuovo approccio alla vita per migliaia e migliaia di giovani emarginati e in un paese lontanissimo dagli Stati Uniti come il Mozambico era una storia inimmaginabile.
La sta scrivendo invece, da qualche anno, Eddy Orrizzi, ex catcher di Rimini e Grosseto, personaggio di spicco del nostro batti e corri negli anni 80.
Eddy ha scoperto il Mozambico per motivi professionali.
Nel corso di visite frequenti a quella terra tormentata ne ha scoperto le realtà più amare. La povertà endemica, i bambini abbandonati per le strade e la loro aggregazione in piccole bande criminali.
Eddy ha individuato nell' AIDS il male assoluto, causa ed effetto, in una spirale infinita, di tutti gli altri problemi.
Il virus, endemico nell' Africa Sub Sahariana, uccide i giovani genitori, i maestri dei villaggi, sgretola la vita collettiva.
I bambini si ritrovano abbandonati e senza guida, vivono in totale promiscuità e moltiplicano le occasioni di contagio.
Dell' HIV non si parla in Africa, come ha drammaticamente ricordato in questi giorni il Presidente Mandela. E' un tabù.
E questo contribuisce alla sua diffusione ulteriore.
Eddy, chiedendosi cosa si poteva fare, ha avuto l' intuizione che il baseball poteva essere una forma di aggregazione per i ragazzi abbandonati.
Ha quindi messo in moto, nel 2002, una macchina organizzativa che sta crescendo e coinvolgendo migliaia di persone.
Al movimento del nascente baseball del continente nero partecipano i futuri giocatori, giovani istruttori. A loro si stanno aggiungendo arbitri, classificatori.
I ragazzi sono pagati con circa 25 centesimi per ogni allenamento (due o tre a settimana). Un serio contributo all' economia familiare in un paese dove il salario mensile minimo è di 15 dollari.
Gli istruttori ricevono ben 24 dollari al mese mensili. La squadra è però soprattutto un luogo dove istruttori e medici possono parlare dell'AIDS e delle misure per prevenirlo. Negli allenamenti si spiega tanto lo slide quanto la funzione del profilattico.
Ma si usano anche, per elaborare le statistiche, alcuni computer.
Questa è per molti giovani la prima familiarizzazione con le tecnologie avanzate. Le squadre sono anche, ovviamente, centri di assistenza medica.
I primi risultati stanno arrivando.
L'iscrizione alle Little Leagues ha permesso di ottenere un contributo annuo dagli USA di 5.000 dollari.
Le Majors stanno guardando con interesse al progetto e lo stanno sostenendo con donazioni: il loro marchio compare oramai sulla prima pagina del sito di Baseball in Africa e sui cartelloni dei polverosi diamanti che stanno nascendo nelle città e nei villaggi del Mozambico.
Ultimo successo in ordine di tempo: con il generoso contributo della Telemarket partirà, dal primo marzo, la Lega del Mozambico, che prenderà proprio il nome dello sponsor italiano.
Abbiamo -dice Eddy- un obiettivo di 10.000 tesserati il primo anno. Pensa quanti casi di sieropositività potremo scoprire, dal momento che faremo test a tutti. Però dovremo anche trovare i farmaci …“.
Per trovare soldi per i costosissimi medicinali anti Aids sta fondando, in parallelo, anche una onlus italiana che si chiamerà Staying Alive.
Eddy è generoso e debordante (come quando era in campo) mentre parla di Baseball in Africa, ma anche molto pragmatico.
Il suo progetto, lucido e visionario al tempo stesso, ha bisogno di sostegno economico.
Sul sito www.baseballinafrica.org, corredato da uno splendida sezione fotografica è possibile approfondire la conoscenza dell' iniziativa.

butta

Nato nel 1953 all’ Isola d’ Elba, Marco Buttafuoco vive e lavora a Parma dal 1980, è sposato con Daniela e non ha figli. Laureato in lettere ha (ri)scoperto il piacere della scrittura negli ultimi anni. Collabora alla pagina sportiva de L’ Unità e scrive di musica (jazz e dintorni) sui periodici parmigiani “Il caffè del Teatro“ e “Dalla parte del torto”(di cui è anche redattore) Ama tutti generi di musica (non solo quella afroamericana), la letteratura (soprattutto statunitense), il nuoto non agonistico, il cinema, il calcio (anche se comincia a turarsi, di tanto in tanto,il naso). Nel baseball ha scoperto una quasi inesauribile fonte di miti e di storie bellissime.

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