L'Italia s'è risvegliata ad Atene

Serve un'organizzazione diversa per competere a certi livelli, a Pechino dovrà andare diversamente

L'Italia delle belle speranze si è risvegliata ad Atene. A olimpiadi concluse, con Cuba che conferma di essere quella che conoscevamo (ma che bello sarebbe stato avere gli Usa in questo torneo…), proviamo a tirare le somme della spedizione azzurra. Alla vigilia si diceva che potevamo giocarcela con tutti e che una preparazione come quella svolta non s'era mai fatta. La squadra che tutti avremmo voluto vedere c'è stata solo una volta, contro Taiwan, ed è stata una vittoria che ha sostanzialmente salvato la spedizione. L'Olimpiade ha insegnato/confermato, riteniamo, almeno un paio di cose: ad alti livelli restiamo una buona squadra che si… perde. Pazienza lo stellare Giappone (ma poi contro Cuba non abbiamo fatto la stessa figuraccia) ma una volta gli errori, un'altra l'attacco che non ha "girato", raramente siamo usciti a testa alta. L'altra è che giocare solo di rado ad alti livelli non paga. E' un discorso forse vecchio, però finché la nostra organizzazione di campionato sarà questa difficilmente giocheremo ad alti livelli. Allora ha ragione Fraccari: bisogna almeno ritagliare spazi diversi alla nazionale, fare in modo che possano almeno gli azzurri (compresi juniores) giocare tre-quattro volte l'anno come è stato per l'avvicinamento alle olimpiadi. Diversamente si deve pensare a un campionato che oggi è oggettivamente difficile, quello di una sorta di lega professionistica (possibile quando i rapporti con le major saranno più definiti) che giochi come negli Usa, abbia un seguito degno di tale nome, un mercato e via discorrendo. Perché se si vuole competere a certi livelli, e Atene l'ha dimostrato, va imboccata una strada assolutamente diversa. Vale per gli italiani e per quelli che nella accezione comune si continuano a chiamare oriundi, pur essendo formalmente italiani. I Buccheri – da "copertina" del torneo olimpico quel fuoricampo evitato con una straordinaria presa al volo – Rollandini e compagni hanno dato il massimo, lo stesso vale per i Liverziani e i Mazzanti, perché quando si è in campo – e per giunta alle Olimpiadi – difficile pensare che la situazione sia diversa. Ebbene quel massimo ancora non basta, dobbiamo rendercene conto e ne sono certamente consapevoli anche i vertici federali che, tra l'altro, si sono ritrovati a gestire anche il delicato caso Francia che non ci ha fatto fare una bella figura. Quello che serve all'Italia è il famoso e più volte ricordato salto di qualità, come organizzarlo spetta alla Fibs che intanto ha messo in piedi l'accademia (è un notevole passo in avanti) ma poi deve arrivare anche a risultati perché quelli finora non ci premiano. Lo aveva detto Fraccari alla presentazione della preparazione delle nazionali: "Basta con gli italiani simpatici che poi giocano anche a baseball". Va perseguito questo obiettivo. La strada verso Pechino non sarà agevole, si dovrà andare meglio di Atene. Vorrà dire che non sarà andata meglio la nazionale, ma tutto il baseball italiano.

Informazioni su Giovanni Del Giaccio 216 Articoli
Un uomo di baseball "prestato" alla cronaca. Il ruolo di direttore di baseball.it è stato oltre a un onore ed onere una sorta di "rivincita" sul giornalismo in prima linea che mi ha allontanato dai campi di gioco. Nasco giornalista con carta, penna e macchina da scrivere ma non ho mai smesso di aggiornarmi. Ho oltre 35 anni di carriera e una grande esperienza nei quotidiani. Da ultimo ho lavorato al Messaggero e ho vissuto il passaggio dal cartaceo al digitale, creando contenuti per entrambe le piattaforme (carta-web). Sono specializzato in sanità e salute. Laureato in Sociologia alla Sapienza, presso la stessa università ho conseguito la laurea in Comunicazione scientifica e biomedica. Gestisco palinsesti social e sono docente a contratto presso l’università di Genova. Oltre a vicende di cronaca, per questo sito ho seguito il World baseball classic del 2009 e i mondiali under 18 in Corea del 2019. Il lavoro mi ha costretto a rinunciare all’attività nell’Anzio baseball, società per la quale sono stato un pessimo giocatore (ma un fuoricampo in carriera l'ho battuto) e un giorno – quasi per caso – mi sono trovato ad allenare una formazione giovanile. Tante sconfitte ma anche la soddisfazione di vedere qualcuno che ho allenato giocare in serie A. Alla Coach Convention di Bologna del 1989 sono stato tra i promotori dell’inserimento della regola dei 4 punti nella categoria Ragazzi. Tornato in campo con un gruppo di vecchi amici, posso vantare anche la vittoria - da manager - di un campionato di serie C con i "Pirati". Il rimpianto? Non essere riuscito a trasmettere a Sabrina la passione per il baseball, neanche facendole vedere più volte "L’uomo dei sogni". Dei figli, Arianna ha scelto il basket e Gianmarco dopo un paio d'anni ha lasciato il baseball. Amo il mare, la buona cucina ("la minestra di pesce è come un fuoricampo che ti fa vincere la partita all’ultimo inning"), la musica jazz e raccolgo ritagli di giornale. Come diceva il grande inviato Richard Kapucinsky: "Mai stancarsi di studiare il mondo". Per i figli darei la vita e ringrazierò sempre mio padre - per tutti Zi' Carlo - che mi ha fatto conoscere il Gioco. Ah, si è capito vero? Toglietemi tutto ma non il baseball.

Commenta per primo

Rispondi

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.