“Addio Hemingway”

Prendiamo a pretesto l'ultimo libro di Leonardo Padura Fuentes per parlare del baseball cubano e del suo rapporto con il baseball Pro

Il protagonista dei libri di Leonardo Padura Fuentes, 47 enne scrittore e giornalista habanero, si chiama Mario Conde. E’ un poliziotto cubano con il sogno di diventare scrittore: un personaggio ironico e disincantato, po’ malinconico, quasi un Marlowe dei Caraibi. Il libro dele sue ultime avventure, ‘Addio Hemingway’ , è appena uscito in Italia (Marco Tropea Editore , 13 Euro, 192 pagine).
Per Conde gli stadi di baseball, dove il nonno lo portava da bambino, sono fra i più importanti luoghi del cuore, dove si imparano alcune delle cose importanti che un uomo deve sapere .
Con il suo creatore parliamo del grande baseball cubano .
Come è nato il baseball a Cuba? Perchè è diventato tanto popolare?
‘Il baseball arriva a Cuba direttamente dagli Stati Uniti, verso la metà del XIX secolo. La situazione storica e politica dell’Isola fece sì che la sua popolarità fosse immediata. Era uno sport che veniva dal paese che allora era il grande modello democratico, il mito dei giovani cubani dell’ epoca che sognavano l’indipendenza dalla Spagna. Il baseball era il nuovo, era qualcosa di non spagnolo e oltretutto era un sport ‘vistoso”, nel quale si usavano uniformi disegnate apposta per i giocatori, spesso aderenti, il che era inusuale per quei tempi.
I campi di baseball divennero presto un punto di ritrovo dei ragazzi e delle ragazze cubani; poi diventarono teatri di una sorta di feste all’aperto, dove si gustavano bibite,(ma credo anche rum) e si ascoltavano orchestre che suonavano il ‘danzon ‘, il ballo nazionale cubano. Questo avveniva nella Capitale e nella città di Matanzas, i centri più ricchi, dove esisteva una gioventù ‘a la page’ , ricca e desiderosa di una sua identità cubana, scontenta di una condizione di cittadinanza spagnola di seconda serie . Per questo il baseball è profondamente legato alle origini stesse della nazione cubana. E’ davvero uno sport nazionale.
Cosa differenzia veramente il baseball nord americano da e quello cubano?
‘ L’unica differenza reale è che il baseball USA è altamente professionistico, mentre il nostro è totalmente dilettantistico. Ufficialmente un giocatore cubano è dipendente di qualche impresa e gioca nel tempo libero. E’ chiaro che questa è una finzione. I giocatori della Nazionale., ad esempio, giocano a baseball a tempo pieno ed è lo stato cubano a pagarli. I migliori elementi hanno qualche gratificazione economica, o qualche privilegio: un auto o una casa un po’ migliore. E’ il massimo cui hanno diritto le nostre star. Per questo, sempre più spesso, molti giocatori lasciano Cuba con la speranza, che a volte diventa realtà, di guadagnare cifre favolose nelle Major USA, o di arricchirsi comunque giocando in una delle Minor Leagues.
Il modo di giocare è comunque simile e questo è dovuto al fatto che fino a quarant’ anni fa c’era una libera circolazione di giocatori fra Cuba e gli Usa e viceversa. Alcuni isolani sono riusciti comunque in maniera diversa ad approdare alle grandi Leagues, alcuni di essi con risultati davvero notevoli. I fratelli Orlandez, entrambi pitchers, hanno vinto le World Series con gli Yankees; Joeè Canseco, fuggito da Cuba da bambino è diventato una delle grandi star delle Leagues negli anni 80. E questo per menzionare solo i giocatori di epoca attuale. Ci sono molte storiche figure cubane nella Hall of Fame del baseball nordamericano’
Quali sono i vostri miti?
‘ I Babe Ruth, i Lou Gherig, i Di Maggio, tutti i grandi nord americani sono ben vivi nella nostra memoria , nonostante negli ultimi quarant’anni le informazioni sul baseball USA siano scarse e frammentarie. Anzi i nomi dei giocatori prima citati hanno risvegliato un grande interesse fra i cubani sulle vicende delle Leagues. Ma è un interesse clandestino, né ufficiale né incoraggiato dal nostro governo
Anche noi abbiamo comunque le nostre leggende e ne siamo fieri. Qualche anno fa pubblicai insieme a Raul Arce , redattore di Juventud Rebelde , una serie di interviste a famosi nostri ‘peloteros’ degli anni 60. Di quel libro , ‘El alma en el terreno’ vendemmo 20.000 copie in una notte, allo Stadio Latino americano dell’ Avana . Sono orgoglioso di quell’opera che mi permise di conoscere gli idoli della mia infanzia , di quando volevo anch’ io, sopra ogni cosa, diventare ‘pelotero: Pedro Chávez, Urbano González, Miguel Cuevas, Manuel Hurtado, Manuel Alarcón, Wilfredo Sánchez, Agustín Marquetti, Braudilio Vinent…
Qualche scrittore americano vede nell’ arrivo del corridore a casa base , o nell’ home run, il simbolo dell’ eterno desiderio del ritorno Come lo vedete voi cubani…”
‘Io preferisco non cercare troppi simboli. Quella situazione è caso mai epica. Chi arriva a casa base segna un punto e aiuta la sua squadra a vincere, come un calciatore che segna un gol. Nel baseball, come in tutti gli sport, si gioca per vincere e la vittoria è esaltante di per sé. I simboli hanno valore davvero relativo, secondario.’
Perché il baseball non sfonda in Europa?
Direi che gli Europei rifiutano quello che non capiscono al primo impatto. Ma al di là di questo direi che esistono al mondo due culture sportive: quella ‘beisbolera’ e quella ‘futbolistica’. E sono fra di loro quasi incomunicabili. Il baseball non piace agli europei, ma anche i brasiliani, gli argentini e i cileni lo snobbano. E’ un problema di mentalità profonda, una questione quasi genetica. I centro americani e anche gli statunitensi, (nonostante i loro sforzi recenti) non saranno mai buoni calciatori. Un bambino brasiliano o italiano non avranno mai tanta confidenza con mazza e guantone. E’ nel sangue. I due mondi resteranno sempre distanti.
Come hanno vissuto i cubani la defezione USA dalla Coppa intercontinentale?
Un torneo internazionale di baseball dove non si incontrino Cuba e USA è come una Coppa Europa di calcio con finaliste Estonia e Albania. La nostra rivalità è ancestrale e la nostra gente ha sempre amato tantissimo queste sfide, alcune delle quali sono state davvero storiche.
Il nostro sogno è che ora che stanno cadendo le frontiere fra professionismo e dilettantismo, si possa vedere un giorno una partita fra una nostra selezione ed una delle Majors e vedere li’, sul terreno, chi è veramente il migliore. Per quanto riguarda il presente, peccato che non siano venuti, anche se la qualità del baseball non la fanno solo loro.

NB: L’intervista è apparsa per la prima volta su L’Unità il 12 novembre 2002.

Informazioni su butta 5 Articoli
Nato nel 1953 all’ Isola d’ Elba, Marco Buttafuoco vive e lavora a Parma dal 1980, è sposato con Daniela e non ha figli. Laureato in lettere ha (ri)scoperto il piacere della scrittura negli ultimi anni. Collabora alla pagina sportiva de L’ Unità e scrive di musica (jazz e dintorni) sui periodici parmigiani “Il caffè del Teatro“ e “Dalla parte del torto”(di cui è anche redattore) Ama tutti generi di musica (non solo quella afroamericana), la letteratura (soprattutto statunitense), il nuoto non agonistico, il cinema, il calcio (anche se comincia a turarsi, di tanto in tanto,il naso). Nel baseball ha scoperto una quasi inesauribile fonte di miti e di storie bellissime.

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