La regola del tie-break: più difetti che pregi

Introdotto per accorciare i tempi delle partite, non ha fatto breccia tra addetti ai lavori e appassionati. E penalizza l'aspetto tecnico

Il tie-break è per definizione una forma abbreviata del gioco che di fatto riduce i tempi per stabilire un vincitore. Il tie-break per antonomasia viene affiancato al tennis, spesso e volentieri atteso dagli appassionati, sia presenti sul campo, sia quelli davanti al video. Ma non per questo deve per forza vincente in altri sport. Era stato introdotto anche nel volley nell'era del cambio-palla poi soppiantato con l'avvento del rally point system. E da qualche anno è stato introdotto anche nel baseball, ecco, un esempio dove non ha riscosso assolutamente consensi. Pro e contro si dice in questi casi.
L'arrivo del tie-break nel nostro batti e corri è stato giustificato con il fatto di ridurre i tempi di una partita, per consentire agli appassionati di vedere la conclusione del match e non dover lasciare le tribune a notte fonda e anche per permettere ai giornali di avere il risultato a un'ora decente e alle tv di giustificare un prodotto che abbia tempi più o meno definiti. Allora, una partita di baseball ormai difficilmente resta sotto il muro delle tre ore, solo in sparuti casi si giocano due gare lo stesso giorno, quindi non c'è il rischio di dover cominciare la seconda partita fuori orario; i tifosi, quelli veri, restano sulle tribune fino al saluto finale delle due squadre in mezzo al campo; i giornali non mettono mai un risultato in diretta e la tv, beh la tv nel baseball è ormai un lontanissimo ricordo, basta pensare alle ultime finali scudetto praticamente oscurate.
E poi c'è un ben più importante discorso tecnico. Il tie-break svilisce tutto il concetto basilare del gioco del baseball, la conquista della base, quell'arrivo sui cuscini che rappresenta il primissimo traguardo quando un bambino si affaccia al campo mazza in mano. Gli extrainning ci hanno regalato negli anni emozioni particolari, ora alla decima ripresa due giocatori si piazzano in base, il coach toglie dalla partita il primo battitore ordinando un bunt, il lanciatore toglie dalla partita il successivo battitore con la base intenzionale, poi tutto viene lasciato al caso e si obbliga il pitcher a salvare un inning e di conseguenza una partita, mentre fino a quel momento è rimasto in balìa degli eventi.
Il tie-break poteva anche avere un senso nell'era delle tre partite, ma quest'anno, con il discutibile ritorno alle due gare settimanali, era da abolire. Arrivano gli extra? Bene, c'è più spazio per i pitcher italiani, magari giovani, gettati nella mischia quando la partita è ancora calda, non quando è in arrivo la manifesta.

Informazioni su Carlo Ravegnani 269 Articoli
Carlo Ravegnani, nato a Rimini il 31 gennaio del 1968, ha iniziato la carriera giornalistica a 20 anni nell'allora Gazzetta di Rimini, "sostituita" dal 1993 dall'attuale Corriere Romagna dove lavora come redattore sportivo. Collaboratore per la zona di Rimini del Corriere dello Sport-Stadio, il baseball è stata una componente fondamentale nella sua vita: dapprima tifoso sugli spalti dello Stadio dei Pirati poi giocatore nel mitico Parco Marecchia e poi nel Rimini 86, società che ha fondato assieme a un gruppo di irriducibili amici. Quindi giornalista del batti e corri sulla propria testata e alcune saltuarie collaborazioni con riviste specializzate oltre che radiocronista delle partite dei Pirati assieme all'amico e collega Andrea Perari. Negli ultimi anni è iniziata anche la carriera dirigenziale, con la presidenza (dal 2014) dei Falcons Torre Pedrera. La passione è stata tramandata al figlio Riccardo che gioca lanciatore e prima base negli stessi Falcons.

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