Maledizione… non abbiamo più una maledizione

I Cubs rompono un digiuno lungo 108 anni, ma adesso noi romantici del baseball dobbiamo trovare un'altra squadra super sfortunata per cui tifare. Vanno bene gli Indians?

Nel giro di poco più di un decennio abbiamo visto crollare le due grandi maledizioni del baseball. Nel 2004 quella di Babe Ruth, la quale durava da 86 anni e che vide loro malgrado protagonisti i Boston Red Sox. Capaci di abbattere quell'anatema prima rimontando da sotto 3 a 0 la serie dell'American League contro gli Yankees, quindi spazzando via i Cardinals nella finale. La prima delle due imprese è immortalata in uno splendido e toccante documentario, “Four Days in October ”, mentre per la seconda fu necessario cambiare in tutta fretta il finale di un film con Drew Barrymore e Peter Falloon, “Fever Pitch”, la riproposizione tutta a stelle e strisce sul grande schermo del libro “Febbre a 90°”.

Dodici anni dopo anche i Chicago Cubs sono riusciti a ribaltare la famosa “maledizione della capra”. Aspettiamoci un film a breve, probabilmente, mentre per uno dei capitoli della saga la stessa produzione Espn della serie “30 for 30” propose anche “Cathing Hell”, un approfondimento sul caso di Steve Bartman.

Diciamoci la verità, a parte quello spicchio di tifosi che hanno parteggiato per gli Indians, tutti gli altri appassionati di baseball hanno tifato in maniera sfegatata per i “cubbies”. Solo a Nettuno qualche nostalgico dei bei tempi andati voleva veder vincere gli indiani, ma ancor più che per una sorta di senso di appartenenza, di certo per via del fatto che negli anni '90 il Nettuno aveva come logo sul cappello proprio l'indianino dei Cleveland. Ma non se ne è rammaricato nessuno, perché quando vincono quelli incredibilmente sfortunati in fondo è un po' come se vincessero tutti.

Chi scrive giusto la scorsa primavera ha visitato Chicago e non si è lasciato sfuggire l'occasione di andare a vedere due partite nei due stadi della città. Splendido, confortevole, ultramoderno quello dei White Sox, carico di storia e di sinistri presagi il Wrigley Field. Anche l'atmosfera era profondamente diversa. Nel primo il concetto di “intrattenimento” era ai massimi livelli, tanto che sulle tribune si può anche sfruttare il wi-fi gratis, in quello dei Cubs c'è la partita, delle poltrone non propriamente comode e un tifo viscerale e sfegatato che coinvolge tutto un quartiere. Lo si intravede già dalla metropolitana e in mente vengono subito le mille e mille storie che si celano dietro quella striscia di edera all'esterno, non ultimo il fatto che il Wrigley è stato l'ultimo ballpark negli Stati Uniti a dotarsi di illuminazione artificiale. E non era forse l'indirizzo fornito da Jack Blues nel film Blues Brothers per confondere le idee ai federali che erano alla sua caccia?

Detto questo, non posso fare neanche a meno di sottolineare come nel giro di un breve lasso di tempo le squadre degli stadi che ho visitato hanno finito per vincere. E' successo con gli Yankees (ahimé), i Diamondbacks, i Red Sox, i Giants e ora i Cubs. Mancano all'appello i Mets, così se è vero che non si pasticcia con le serie vincenti giocatevi anche qualche spicciolo su di loro nelle prossime stagioni.

Torniamo un secondo ai Cubs. Rubando una battuta al grande Federico Buffa, possiamo dire che garasette, nel complesso le ultime World Series, ma in generale tutti questi 108 anni di storia di Chicago sono un invito all'ateismo. Sotto per 3 a 1 hanno saputo rimontare, rischiando di perdere malamente. Joe Maddon, figlio di mister Maddonini (italiano) ha scherzato con il fuoco e ha vinto. Personalmente, non avrei tolto così repentinamente Hendricks sul 5 a 1, la sera prima a partita ampiamente in ghiaccio avrei fatto lanciar di meno Chapman per tenermelo più fresco in vista di garasette, non avrei questo e non avrei quello… Maddon ha vinto le World Series e amen, battendo un altro incredibile stratega, Terry Francona, uno che di maledizione ne ha già sconfitta una ed era quella del 2004. In tribuna il mentore di entrambi, Theo Epstein, al quale il nomignolo di “esorcista” calza più che mai a pennello.

Garasette è stato come un intervento a cuore aperto di 5 ore per un tifoso dei Cubs. Chi non avrebbe vacillato dopo aver visto due punti entrare sullo stesso lancio pazzo, vedersi rimontare sul 6 a 6 con il “moloch” Chapman improvvisamente inefficace, e poi dopo averla di nuovo fatta propria trovarsi al decimo, dopo la sospensione per pioggia (già, c'è stata pure quella…) col punto del pareggio in base? “Partita raggiunta non fu mai vinta”, mi disse Massimiliano Masin quando il Nettuno conquistò lo scudetto a Parma ai supplementari nel 1996, ed è evidente che anche stavolta è andata così. Per questo che si sorride, sì, ma ci si quasi commuove a vedere i video su Youtube delle reazioni dei tifosi dei Cubs al momento della vittoria. Anche Dan Peterson, sulla Gazzetta dello Sport, ha raccontato del suo dialogo col fratello, il quale ha ammesso che si stava meglio quando i Cubs non erano forti. Si soffriva di meno…

Chicago ha degnamente festeggiato la cosa con una parata memorabile e la città impazzita, ma ora tutti noi siamo orfani di qualcosa. Io mi sono appassionato ai Red Sox negli anni '90, quando venni a conoscenza della maledizione di Babe Ruth, e mi ritrovai a urlare in balcone in piena notte quando vinsero quella serie. Poi, portata a termine quella missione pensai che era arrivato il momento di sposare la causa dei Cubs. Bene, anche questa è andata, sigillata da una telefonata via Skype con un vecchio amico di Chicago, Charles, che ha accompagnato me e mio fratello quel giorno al Wrigley. Anche lui si è detto esausto della cosa…

E ora? Beh, nessuno ha pensato ai tifosi di Cleveland e alla loro cocente delusione. E' pur vero che in estate sono riusciti a vincere finalmente il titolo Nba grazie a LeBron James e Kyrie Irving e una squadra fenomenale rimettendo la città anche nota col nome di “Mistake on The Lake” (non è propriamente bella, Cleveland…) nella mappa dello sport americano. Non vincono anche loro da decenni, ci hanno fatto anche tre film (la serie Major League: bello il primo, carino il secondo, insignificante il terzo) e, insomma, attendiamo che siano loro a rompere il digiuno che però, badate bene, non deriva da nessuna maledizione.

E a proposito di maledizione, ateismo e scongiuri vari. Tempo fa mi sono trovato a litigare via Facebook col mio ex professore di religione al liceo, che voleva far passare per buone alcune teorie puramente creazioniste sull'origine dell'universo. La discussione si è conclusa, da parte sua, con il classico bannaggio (poca tenuta emotiva è dovuta purtroppo a qualcosa contro cui combatte da anni e che non auguro veramente a nessuno) e una sorta di "fatwa" nei miei confronti. Sorvolo sui dettagli della cosa, ma vorrei informarvi che c'è una scommessa in atto a casa mia: se la Roma di calcio tornerà finalmente a vincere lo scudetto mi prendo in casa un gattino trovatello, lo chiamerò Pruzzo se è maschietto, Maldera o Prohaska se femminuccia (finisce per “a” il nome, no?). Anche se non legata al baseball io la mia maledizione ce l'ho, tecnicamente sono a posto…

 

Informazioni su Mauro Cugola 546 Articoli
Nato tre giorni prima del Natale del 1975, Mauro è laureato in Economia alla "Sapienza" di Roma, ma si fa chiamare "dottore" solo da chi gli sta realmente antipatico... Oltre a una lunga carriera giornalistica a livello locale e nazionale iniziata nel 1993, è anche un appassionato di sport "minori" come il rugby (ha giocato per tanti anni in serie C), lo slow pitch che pratica quando il tempo glielo permette, la corsa e il ciclismo. Cosa pensa del baseball ? "È una magica verità cosmica", come diceva Susan Sarandon, "ma con gli occhiali secondo me si arbitra male". La prima partita l'ha vista a quattro mesi di vita dalla carrozzina al vecchio stadio di Nettuno. Era la primavera del '76. E' cresciuto praticamente dentro il vecchio "Comunale" e, come ogni nettunese vero, il baseball ce l'ha nel sangue.

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