Il cerchio si chiude: ultima sera al “Pink Pony”

E´ una meta obbligata per gli inviati allo ´Spring Training´. O forse, lo era

Evasi tutti gli impegni, mi resta da trascorrere in Arizona un´ultima sera.
Avevo avuto un assaggio del centro di Scottsdale durante una cena, diciamo così, ufficiale e non avevo avuto il coraggio di chiedere ai commensali indizi per soddisfare il mio poco tempo libero da turista. Così ho inforcato la mia auto giapponese a noleggio e ho percorso Scottsdale Road seguendo con attenzione tutti i segnali che mi indicavano "downtown". Con una certa sorpresa, ho scoperto che il centro di Scottsdale è una vera e propria attrazione turistica dell´Arizona. In Europa non accadrebbe mai, visto che il centro di Scottsdale ha un aspetto gradevole ma piuttosto ordinario, ma qui siamo in America e da queste parti mi sono in passato tanto lamentato della mancanza del concetto di ´centro cittadino´ che parcheggiare (rigorosamente in divieto di sosta) e potermi aggirare a piedi non mi sembra vero. Anzi, mi pento un po´ per non essere venuto quando la luce del giorno mi avrebbe aiutato.
Scottsdale è una città nata sul finire del secolo 19esimo, subito dopo l´apertura (1883) dell´Arizona Canal.
E´ un certo Winfield Scott, un reduce dalla Guerra Civile, a comprare nel 1888 (costo totale: 3.5 dollari) la terra che va dall´odierna Indian School Road a Scottsdale Road: in pratica, un quadrilatero che Scott e sua moglie adibiscono a fattoria, coltivando soprattutto ulivi.
Dal 1896 la zona diventa distretto scolastico e assume il nome di Scotts-dale. Nel 1897 apre il primo negozio.
Nel 1902 Scottsdale diventa a tutti gli effetti un centro del ´Far West´ dopo l´omicidio di Peter Johnson ed Amos Nigh da parte del corriere noto come ´Popcorn John´, al secolo John Rubinstein.
Winfield Scott muore nel 1910. E´ proprio in quell´anno che un certo George Cavalliere (un oriundo?) apre il suo negozio da fabbro. Scott non aveva mai voluto dare il permesso di aprire un negozio "sporco, puzzolente e rumoroso" nel ´suo´ centro. Per rispetto alla sua memoria, a Cavalliere viene concesso di costruire il negozio ai margini del centro. Ancora oggi quel negozio delimita la città vecchia di Scottsdale.
Camminare per la città vecchia porta inevitabilmente il cervello a vagare per i ricordi dei film western. Diciamo che si tratta di un ´ricordo aiutato´ dai negozi che vendono abbigliamento del far west (stivali, cappelli, porta monete…qualcosa di mitico) rinforzando il messaggio con enormi poster di John Wayne. Lungo Main Street non manca un locale con musica country dal vivo. Peccato per un venticello gelido, che certo non invita a passeggiare.
All´incrocio tra First Street e Brown Avenue un´insegna fa esplodere un altro ricordo: è quella del Pink Pony.
Nel 2001, durante i suoi reportage per questo sito sullo Spring Training, Claire Matthew scrisse un memorabile articolo su questo locale. E, se ricordate cosa scrissi nella presentazione di questa (per ora) ultima serie di diari del cronista itinerante, capirete come il cerchio si stia per chiudere.
Il ´Pink Pony´ è stato costruito nel 1954 da Charlie Briley, uno degli uomini a cui si deve la nascita della Cactus League, ovvero delle partite di Spring Training in Arizona. Il locale è stato rinnovato nel 1970 e, dopo che una cameriera di una certa età mi ha accompagnato al tavolo, mi sembra di poter dire che sia arrivato il momento di…un nuovo rinnovamento.
Dai discorsi che carpisco dagli altri tavoli, sembra che qui siano seduti solo tifosi di baseball. Al bar un paio di uomini di mezza età in tenuta da scout (polo portata dentro i pantaloni, pantaloni ´cachi´ e scarpe da ginnastica) si muovono come se fossero le attrazioni del posto.
Ammetto che il ´Pink Pony´ mi dà una certa impressione di antico. La cameriera sull´orlo della pensione lascia anche cadere la bottiglia di vino che avevo ordinato e, con un´imprecazione per niente trattenuta, me la cambia. Conscio del fatto che probabilmente gliela addebiteranno, lascio una mancia esageratamente generosa prima di uscire.
Penso che il ´Pink Pony´ mi abbia voluto dire che il passato difficilmente ritorna e che la nostalgia non è un sentimento salutare.
Mi infilo quindi all´interno di ´Barnes and Noble´ e, dopo 10 minuti, ho già in mano tutti i libri che mi servono per ingannare il viaggio di ritorno verso la Florida.

Fine sesta puntata
CONTINUA

Informazioni su Riccardo Schiroli 1199 Articoli
Nato nel 1963, Riccardo Schiroli è giornalista professionista dal 2000. E' nato a Parma, dove tutt'ora vive, da un padre originario di Nettuno. Con questa premessa, non poteva che avvicinarsi alla professione che attraverso il baseball. Dal 1984 inizia a collaborare a Radio Emilia di Parma, poi passa alla neonata Onda Emilia. Cresce assieme alla radio, della quale diventa responsabile dei servizi sportivi 5 anni dopo e dei servizi giornalistici nel 1994. Collabora a Tuttobaseball, alla Gazzetta di Parma e a La Tribuna di Parma. Nel 1996 diventa redattore capo del TG di Teleducato e nel 2000 viene incaricato di fondare la televisione gemella a Piacenza. Durante la presentazione del campionato di baseball 2000 a Milano, incontra Alessandro Labanti e scopre le potenzialità del web. Inizia di lì a poco la travolgente avventura di Baseball.it. Inizia anche una collaborazione con la rivista Baseball America. Nell'autunno del 2001 conosce Riccardo Fraccari, futuro presidente della FIBS. Nel gennaio del 2002 è chiamato a far parte, assieme a Maurizio Caldarelli, dell'Ufficio Stampa FIBS. Inizia un'avventura che si concluderà nel 2016 e che lo porterà a ricoprire il ruolo di responsabile comunicazione FIBS e di presidente della Commissione Media della Confederazione Europea (CEB). Ha collaborato alle telecronache di baseball e softball di Rai Sport dal 2010 al 2016. Per la FIBS ha coordinato la pubblicazione di ‘Un Diamante Azzurro’, libro sulla storia del baseball e del softball in Italia, l’instant book sul Mondiale 2009, la pubblicazione sui 10 anni dell’Accademia di Tirrenia e la biografia di Bruno Beneck a 100 anni dalla nascita. Dopo essere stato consulente dal 2009 al 2013 della Federazione Internazionale Baseball (IBAF), dal giugno 2017 è parte del Dipartimento Media della Confederazione Mondiale Baseball Softball (WBSC). Per IBAF e WBSC ha curato le due edizioni (2011, 2018) di "The Game We Love", la storia del baseball e del softball internazionali.

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